Firenze, 10 marzo 2010.
Egr. Sig. Sindaco Renzi,
l'Amministrazione comunale fiorentina ha preso l'insensata decisione di aumentare il cosap fiorentino, accampando una serie di giustificazioni relative all'usura procurata al territorio dalle attività commerciali. Questa maggior usura, era in realtà già scontata dal cosap fiorentino, in quanto quattro volte superiore alla media italiana per gli esercizi non alimentari, e due volte superiore alla media italiana per gli esercizi alimentari. In ogni caso, più che doppio rispetto a città come Bologna, Napoli, Roma, Torino e Milano.
Questa decisione, invece, riteniamo sia stata presa a causa di una errata programmazione dei flussi di entrata e di uscita di bilancio, derivante anche dalla coraggiosa decisione di reinquadrare il ruolo della stimata Polizia Municipale a più opportuni fini, nonché dalla caduta possibilità di avere una legge speciale per Firenze.
Solitamente si addebita al livello nazionale la responsabilità dei continui tagli di spesa e della continua crescita dell'imposizione fiscale (692 €/abitante per Firenze rispetto alla media nazionale di 558 €/abitante). Secondo il rapporto Civicum, curato dal Politecnico di Milano su dati del 2007, in realtà, se il differenziale relativo ai trasferimenti correnti ricevuti dalla Città dai superiori livelli di governo, è di circa il 15% più basso rispetto alla media italiana, questo differenziale è invece prossimo al 70% in meno se considerati i trasferimenti che Firenze riceve dalla Regione Toscana. Un allineamento alla media nazionale di questo valore, significherebbe maggiori entrate per la Città per 25 milioni di euro.
Una cifra ben più considerevole, invece, deriverebbe da una più sana gestione delle spese di auto-amministrazione del Comune a cui viene destinato il 32% della spesa corrente (un valore superiore alla media nazionale). Se l'Amministrazione si allineasse alla più sana gestione registrata dal rapporto del Politecnico milanese, essa potrebbe recuperare l'importante cifra di 62 milioni di euro.
Ecco che, invece che gravare il tessuto economico cittadino con 7 milioni di euro di maggiori tasse, che in specifici casi possono voler dire un aggravio dei costi di gestione anche di 7 mila euro annui – sufficienti in tempi “normali” a far chiudere un'attività, figuriamoci in questa delicata fase economica – , una più sana gestione amministrativa, ed una più equa distribuzione dei trasferimenti regionali alla nostra Città, segnerebbero il recupero di 87 milioni di euro.
Basterebbe già questo per procedere all'abbassamento o addirittura al congelamento del cosap, visto che esso porta 22 milioni di euro nelle casse comunali. Parrà provocatoria la proposta, ma di questi tempi, converrà con me che se di cosap voleva parlarsi, lo si doveva fare in termini di alleggerimento. Se a tutto ciò aggiungessimo la più sana gestione dei posteggi comunali, incomprensibilmente in progressivo rosso di anno in anno, e di quelli delimitati da strisce blu …
RingraziandoLa per l'attenzione, porgo distinti saluti ed auguro un proficuo lavoro.
Claudio Giudici
Presidente Uritaxi Firenze
mercoledì 10 marzo 2010
mercoledì 3 marzo 2010
No all'aumento del Cosap più alto d'Italia!
In merito all'aumento del Cosap, Uritaxi invita l'Amministrazione a rivedere questa decisione. Il Cosap fiorentino si caratterizzava già per la sua pesantezza in quanto quattro volte superiore alla media italiana per gli esercizi non alimentari, e due volte superiore alla media italiana per gli esercizi alimentari. In ogni caso, più che doppio rispetto a città come Bologna, Napoli, Roma, Torino e Milano.
Riteniamo necessario che l'Amministrazione si faccia autentica portatrice di un nuovo modo di concepire il rapporto tra governanti e cittadini. Invitiamo l'Amministrazione a segnare netta discontinuità dalla politica dell'amministrare sui cittadini per passare invece alla politica dell'amministrare per e con i cittadini.
L'Amministrazione vuole che si faccia sistema, oggi più di prima, vista la fase di crisi. Dunque, deve essere Essa in primo luogo a consentire a tutte le categorie produttive ed alla Città intera di farlo, attraverso la politica dell'esempio.
In una fase di crisi come quella odierna, dove l'arresto della caduta dei mercati azionari rischia di illuderci che la crisi dell'economia reale sia finita, gravare il tessuto produttivo di nuovi pesi vuol dire mantenersi sui binari della vecchia politica.
Comprendiamo le difficoltà di bilancio del Comune, acutizzatesi anche per la coraggiosa scelta di reinquadrare lo stimato corpo dei vigili urbani, che da tutori della sicurezza stradale erano stati trasformati, loro malgrado, in una sorta di “pubblicani” del mondo moderno. Tuttavia recuperare i fondi così persi, con l'aumento della tassazione sulle categorie produttive, pare raccontare il solito gioco delle tre carte.
La nostra organizzazione dunque invita in modo deciso l'Amministrazione a rivedere questa scelta ed a trovare diverse forme di finanziamento.
Parallelamente, in ansiosa attesa di veder concretizzati gli intenti relativi alla trasparenza tariffaria del trasporto persone e della connessa questione della lotta all'abusivismo, proponiamo all'Amministrazione di dare concretezza al progetto di aumento della superficie destinata a corsie preferenziali, primo vero modo per dare efficienza qualitativa ed economica ai mezzi pubblici, e miglioramenti al lavoro dei nostri rappresentati. Contemporaneamente invitiamo l'Amministrazione a rafforzare i momenti di coinvolgimento delle varie categorie produttive, affinchè si possano sviluppare proposte atte ad attirare nuove forme di turismo, sia per la provenienza che per la tipologia di scopo, che ridarebbero ossigeno ai nostri rappresentati più colpiti dal calo turistico – si pensi ai tassisti del turno notturno – e che produrrebbero effetti positivi a catena sul benessere di tutta la Città.
Claudio Giudici
Presidente Uritaxi Firenze
Riteniamo necessario che l'Amministrazione si faccia autentica portatrice di un nuovo modo di concepire il rapporto tra governanti e cittadini. Invitiamo l'Amministrazione a segnare netta discontinuità dalla politica dell'amministrare sui cittadini per passare invece alla politica dell'amministrare per e con i cittadini.
L'Amministrazione vuole che si faccia sistema, oggi più di prima, vista la fase di crisi. Dunque, deve essere Essa in primo luogo a consentire a tutte le categorie produttive ed alla Città intera di farlo, attraverso la politica dell'esempio.
In una fase di crisi come quella odierna, dove l'arresto della caduta dei mercati azionari rischia di illuderci che la crisi dell'economia reale sia finita, gravare il tessuto produttivo di nuovi pesi vuol dire mantenersi sui binari della vecchia politica.
Comprendiamo le difficoltà di bilancio del Comune, acutizzatesi anche per la coraggiosa scelta di reinquadrare lo stimato corpo dei vigili urbani, che da tutori della sicurezza stradale erano stati trasformati, loro malgrado, in una sorta di “pubblicani” del mondo moderno. Tuttavia recuperare i fondi così persi, con l'aumento della tassazione sulle categorie produttive, pare raccontare il solito gioco delle tre carte.
La nostra organizzazione dunque invita in modo deciso l'Amministrazione a rivedere questa scelta ed a trovare diverse forme di finanziamento.
Parallelamente, in ansiosa attesa di veder concretizzati gli intenti relativi alla trasparenza tariffaria del trasporto persone e della connessa questione della lotta all'abusivismo, proponiamo all'Amministrazione di dare concretezza al progetto di aumento della superficie destinata a corsie preferenziali, primo vero modo per dare efficienza qualitativa ed economica ai mezzi pubblici, e miglioramenti al lavoro dei nostri rappresentati. Contemporaneamente invitiamo l'Amministrazione a rafforzare i momenti di coinvolgimento delle varie categorie produttive, affinchè si possano sviluppare proposte atte ad attirare nuove forme di turismo, sia per la provenienza che per la tipologia di scopo, che ridarebbero ossigeno ai nostri rappresentati più colpiti dal calo turistico – si pensi ai tassisti del turno notturno – e che produrrebbero effetti positivi a catena sul benessere di tutta la Città.
Claudio Giudici
Presidente Uritaxi Firenze
Cosap a Firenze: provando a battere ogni record!
Rileviamo dai giornali locali che il contributo per l'occupazione del suolo pubblico gravante sulle categorie commerciali e di pubblico servizio, subirà aumenti tra il 30% ed il 170%.
E' paradossale rilevare che in una fase di crisi economica come l'attuale, gli oneri gravanti sulle aziende – prevalentemente espressione della piccola impresa – vengano aumentati piuttosto che diminuiti. Se il Governo ha dato qualche aiuto al tessuto imprenditoriale, nonostante la gravosità del debito pubblico italiano, l'Amministrazione fiorentina pare intenzionata ad andare in tutt'altra direzione.
Nello specifico è interessante rilevare come la C.o.s.a.p. applicata a Firenze fosse già tra le più esose d'Italia.
La tabella sotto renderà chiara la situazione.
Banchetto di vendita di specialità tipiche non alimentari di dimensione 2 mq:
In merito al settore taxi, città come Milano, Roma e Torino non caricano questo servizio pubblico con oneri relativi all'occupazione del suolo pubblico. Per di più, posteggi come quello di via il Prato, via Pio Fedi, piazza Beccaria, via di Novoli, piazza delle Cure, piazzale Donatello, piazza Santa Maria Soprarno, via Calatafimi, le stazioni di Campo di Marte e Rifredi, piazza San Giovanni, piazza Pitti, piazza Giorgini, piazza Indipendenza, piazza della Libertà, piazzale Michelangelo, piazza Pier Vettori e piazza Starnina, sono sistematicamente occupati da mezzi non autorizzati.
Tuttavia, a parte le specificità del settore taxi, la valutazione di fondo resta quella fatta all'inizio: in una fase di contrazione della redditività economica sul fronte delle entrate, stringere la morsa aumentando i costi amministrativi di gestione d'impresa, è una scelta paradossale e profondamente sbagliata.
Ufficio Studi Uritaxi
E' paradossale rilevare che in una fase di crisi economica come l'attuale, gli oneri gravanti sulle aziende – prevalentemente espressione della piccola impresa – vengano aumentati piuttosto che diminuiti. Se il Governo ha dato qualche aiuto al tessuto imprenditoriale, nonostante la gravosità del debito pubblico italiano, l'Amministrazione fiorentina pare intenzionata ad andare in tutt'altra direzione.
Nello specifico è interessante rilevare come la C.o.s.a.p. applicata a Firenze fosse già tra le più esose d'Italia.
La tabella sotto renderà chiara la situazione.
Banchetto di vendita di specialità tipiche non alimentari di dimensione 2 mq:
- Firenze (Piazza S. Maria Novella) 1.223,56 euro annui
- Torino (Piazza San Carlo) 689,12 euro annui
- Bologna (Piazza Maggiore) 429,52 euro annui
- Roma (Piazza Navona – Piazza del Popolo) 377,82 euro annui
- Napoli (Piazza del Plebiscito) 237,56 euro annui
- Milano (Piazza Duomo) 223,42 euro annui
- Siena (Piazza del Campo) 197,80 euro annui
- Padova (Piazza delle Erbe) 150,02 euro annui
- Venezia (Piazza San Marco) 111,82 euro annui
- Bari (Piazza del Ferrarese) 92,96 euro annui
- Palermo (Piazza Castelnuovo) 87,80 euro annui
- Venezia (Piazza San Marco) 2.186,06 euro annui
- Firenze (Piazza S. Maria Novella) 1.934,50 euro annui
- Bologna (Piazza Maggiore) 1.073,80 euro annui
- Roma (Piazza Navona) 1.062,63 euro annui
- Torino (Piazza San Carlo) 969,94 euro annui
- Padova (Piazza delle Erbe) 625,09 euro annui
- Napoli (Piazza del Plebiscito) 593,90 euro annui
- Milano (Piazza Duomo) 558,54 euro annui
- Siena (Piazza del Campo) 272,43 euro annui
- Bari (Piazza del Ferrarese) 232,41 euro annui
- Palermo (Piazza del Castelnuovo) 219,50 euro annui
Fonte: elaborazione Cesdoc su dati uffici tributi e regolamenti comunali 2009.
Se questi sono i dati comparabili a livello nazionale, il punto non è allora quello per cui le categorie produttive devono avere il coraggio di dichiarare quanto guadagnano. In merito al settore taxi, città come Milano, Roma e Torino non caricano questo servizio pubblico con oneri relativi all'occupazione del suolo pubblico. Per di più, posteggi come quello di via il Prato, via Pio Fedi, piazza Beccaria, via di Novoli, piazza delle Cure, piazzale Donatello, piazza Santa Maria Soprarno, via Calatafimi, le stazioni di Campo di Marte e Rifredi, piazza San Giovanni, piazza Pitti, piazza Giorgini, piazza Indipendenza, piazza della Libertà, piazzale Michelangelo, piazza Pier Vettori e piazza Starnina, sono sistematicamente occupati da mezzi non autorizzati.
Tuttavia, a parte le specificità del settore taxi, la valutazione di fondo resta quella fatta all'inizio: in una fase di contrazione della redditività economica sul fronte delle entrate, stringere la morsa aumentando i costi amministrativi di gestione d'impresa, è una scelta paradossale e profondamente sbagliata.
Ufficio Studi Uritaxi
Se l'aereo non rende abbastanza, ecco il taxi!
In seguito all'annuncio del Comune di Roma di riaggiornare le tariffe fisse dall'aeroporto di Fiumicino al centro romano, è scesa in campo l'associazione delle flotte aeree in Italia, la quale è venuta a denunciare che “non si fa gioco di squadra”.
Secondo quest'ultima, l'aumento del costo del taxi a Roma, scoraggerebbe i turisti a prendere l'aereo. Una posizione questa – almeno per gli esperti del settore – talmente improbabile che non può non far pensare che dietro vi sia ben altro. Infatti, è risaputo e confermato da ogni studio – Banca d'Italia compresa – che la domanda di servizio taxi è una domanda non elastica. Ciò vuol dire che una variazione realistica del costo del taxi è sostanzialmente non incidente sulla quantità di domanda di servizio. Se per esempio una corsa in taxi dall'aeroporto di Firenze al centro, da 20 euro andasse a costare anche un inverosimile 30% in meno, ciò non rappresenterebbe un incentivo per l'utente, poiché la differenza di prezzo con il mezzo alternativo (il bus) resterebbe ugualmente abissale (5 euro).
Ciò è confermato anche dalla recente esperienza del Comune di Torino, la quale puntava ad aumentare la domanda di servizio imponendo corse da 5 euro all'interno della ztl ambientale. Essa è di fatto fallita in quanto anche in presenza di un costo così basso, non vi è stata una sensibile crescita della clientela.
La presa di posizione delle flotte aeree è tanto più pretestuosa se si considera la crescita, fino a pochi anni fa impensabile, dei trasferimenti attraverso auto private da e per gli aeroporti, il cui prezzo è anche tre volte superiore rispetto al servizio pubblico del taxi. Contro di ciò, però, nonostante le ripetute denunce del settore taxi, mai una presa di posizione (!).
Tutto ciò va osservato alla luce di quel processo di despecializzazione tipico di questa fase finale dell'attuale modello economico. Così come le grandi catene commerciali alimentari necessitano di nuovi settori per superare la saturazione delle proprie capacità profittuali (ecco allora l'apertura al mercato dei quotidiani, delle medicine, della telefonia, dei combustibili, ecc.), altrettanto le grandi compagnie aeree necessitano di vedersi aprire il settore del trasporto taxi, dopo aver ottenuto quello dei bus shuttle. La necessità di accrescere gli utili, d'altronde, vede alcune compagnie aeree low cost studiare sistemi di volo in piedi (!), di modo da guadagnare nuovi posti di viaggio sui loro mezzi.
Pretesto per pretesto, ecco ripartire la campagna mediatica a livello nazionale contro l'unico settore che in Italia continua a resistere contro l'oligarchica deriva liberista delle liberalizzazioni-privatizzazioni. Il sistema della piccola impresa che domina nel settore taxi, la quale è riuscita a fare sistema grazie al modello delle cooperative, è l'unico esempio a livello nazionale di quell'azionariato dei lavoratori di cui poco tempo fa parlò anche il Ministro dell'economia Giulio Tremonti. Un modello questo, che se facesse scuola, rappresenterebbe un vero e proprio pericolo per il capitalismo dei mega accentramenti proprietari creatosi sotto il sistema della globalizzazione finanziaria.
Così, ecco spuntare analisi e raffronti di una incompetenza e stupidità tali, che una farsa shakespeariana non avrebbe saputo ricostruire meglio.
La campagna mediatica lanciata si è concentrata sull'insensato paragone tra il costo di una tratta aerea ed il costo di una corsa in taxi. Si capirà bene che un raffronto di questo genere, per quanto d'impatto, sarebbe come raffrontare un chilo di carne rossa (sui 13 euro) ed un chilo di insalata (intorno a 1,5 euro).
Volendo cercare di comprendere la ragione principale della non raffrontabile differenza di costo tra una corsa in taxi ed un volo aereo – ma dovrebbe essere più che evidente! – , è il più alto tasso tecnologico presente nel mezzo di trasporto aereo a renderlo complessivamente più economico rispetto all'oramai vetusto mezzo di locomozione, chiamato auto.
Nello specifico dei paragoni fatti tra città e città in merito al transfer dall'aeroporto verso il centro cittadino, vanno rilevati alcuni aspetti determinanti. Si pensi al raffronto tra il transfer dell'aeroporto di Firenze con quello di Milano. Il numero di passeggeri che sbarcano a Firenze (1,7 milioni contro 17 milioni di Malpensa), per esempio, fa sì che l'attesa del taxi all'aeroporto sia come minimo di un'ora, con punte anche di due ore a seconda della fascia oraria, per un rientro al centro città che può durare ulteriori 45 minuti, per una corsa da 20 euro (dunque questa cifra remunera circa un'ora e 30 minuti di lavoro, nella migliore delle ipotesi).
Altrettanto il prezzo della corsa non risponde mai al solo chilometraggio della corsa, ma al costo complessivo del servizio che deve essere economicamente sostenibile. Esso dunque comprende il fattore tempo, il costo del mezzo e tutti gli annessi, il costo del lavoro, il costo dell'infrastruttura radio e del relativo personale, il rischio d'impresa, il costo fiscale. Il prezzo finale pagato dall'utente per la tratta chilometrica effettuata sarà commisurato su tutte queste voci.
Il costo di erogazione del bene o servizio sarà tanto più spalmabile – ma ciò senza un'infrastruttura stradale efficiente non è possibile – , quanto più riuscirà a diffondersi l'output aziendale. A titolo di esempio si pensi ai primi cellulari (o ai primi navigatori) dei primi anni '90, che costavano milioni di lire, fino a che il loro diffondersi li ha resi un bene di consumo di massa.
Che i tariffari taxi dei transfer dagli aeroporti italiani – così tanto reclamizzati in questi giorni – non siano campati in aria, ma commisurati ad un'effettiva sostenibilità economica dell'attività coinvolta, ce lo referenzia il recente studio di comparazione tra i vari paesi del mondo, dell'istituto creditizio Ubs (A comparison of purchasing power around the globe - 2009 edition – Prices and Earnings), che rileva come i taxi italiani siano tra i meno cari d'Europa, seguiti da paesi notoriamente più economici come le ex repubbliche comuniste, la Spagna, il Portogallo e la Grecia.
Diversamente, sempre da rilevazione Ubs, i costi di gestione che l'impresa taxi italiana si trova a sostenere sono tra i più esosi d'Europa.
Così, milioni di persone sono state ancora una volta disinformate ...
Claudio Giudici
Uritaxi Toscana
Secondo quest'ultima, l'aumento del costo del taxi a Roma, scoraggerebbe i turisti a prendere l'aereo. Una posizione questa – almeno per gli esperti del settore – talmente improbabile che non può non far pensare che dietro vi sia ben altro. Infatti, è risaputo e confermato da ogni studio – Banca d'Italia compresa – che la domanda di servizio taxi è una domanda non elastica. Ciò vuol dire che una variazione realistica del costo del taxi è sostanzialmente non incidente sulla quantità di domanda di servizio. Se per esempio una corsa in taxi dall'aeroporto di Firenze al centro, da 20 euro andasse a costare anche un inverosimile 30% in meno, ciò non rappresenterebbe un incentivo per l'utente, poiché la differenza di prezzo con il mezzo alternativo (il bus) resterebbe ugualmente abissale (5 euro).
Ciò è confermato anche dalla recente esperienza del Comune di Torino, la quale puntava ad aumentare la domanda di servizio imponendo corse da 5 euro all'interno della ztl ambientale. Essa è di fatto fallita in quanto anche in presenza di un costo così basso, non vi è stata una sensibile crescita della clientela.
La presa di posizione delle flotte aeree è tanto più pretestuosa se si considera la crescita, fino a pochi anni fa impensabile, dei trasferimenti attraverso auto private da e per gli aeroporti, il cui prezzo è anche tre volte superiore rispetto al servizio pubblico del taxi. Contro di ciò, però, nonostante le ripetute denunce del settore taxi, mai una presa di posizione (!).
Tutto ciò va osservato alla luce di quel processo di despecializzazione tipico di questa fase finale dell'attuale modello economico. Così come le grandi catene commerciali alimentari necessitano di nuovi settori per superare la saturazione delle proprie capacità profittuali (ecco allora l'apertura al mercato dei quotidiani, delle medicine, della telefonia, dei combustibili, ecc.), altrettanto le grandi compagnie aeree necessitano di vedersi aprire il settore del trasporto taxi, dopo aver ottenuto quello dei bus shuttle. La necessità di accrescere gli utili, d'altronde, vede alcune compagnie aeree low cost studiare sistemi di volo in piedi (!), di modo da guadagnare nuovi posti di viaggio sui loro mezzi.
Pretesto per pretesto, ecco ripartire la campagna mediatica a livello nazionale contro l'unico settore che in Italia continua a resistere contro l'oligarchica deriva liberista delle liberalizzazioni-privatizzazioni. Il sistema della piccola impresa che domina nel settore taxi, la quale è riuscita a fare sistema grazie al modello delle cooperative, è l'unico esempio a livello nazionale di quell'azionariato dei lavoratori di cui poco tempo fa parlò anche il Ministro dell'economia Giulio Tremonti. Un modello questo, che se facesse scuola, rappresenterebbe un vero e proprio pericolo per il capitalismo dei mega accentramenti proprietari creatosi sotto il sistema della globalizzazione finanziaria.
Così, ecco spuntare analisi e raffronti di una incompetenza e stupidità tali, che una farsa shakespeariana non avrebbe saputo ricostruire meglio.
La campagna mediatica lanciata si è concentrata sull'insensato paragone tra il costo di una tratta aerea ed il costo di una corsa in taxi. Si capirà bene che un raffronto di questo genere, per quanto d'impatto, sarebbe come raffrontare un chilo di carne rossa (sui 13 euro) ed un chilo di insalata (intorno a 1,5 euro).
Volendo cercare di comprendere la ragione principale della non raffrontabile differenza di costo tra una corsa in taxi ed un volo aereo – ma dovrebbe essere più che evidente! – , è il più alto tasso tecnologico presente nel mezzo di trasporto aereo a renderlo complessivamente più economico rispetto all'oramai vetusto mezzo di locomozione, chiamato auto.
Nello specifico dei paragoni fatti tra città e città in merito al transfer dall'aeroporto verso il centro cittadino, vanno rilevati alcuni aspetti determinanti. Si pensi al raffronto tra il transfer dell'aeroporto di Firenze con quello di Milano. Il numero di passeggeri che sbarcano a Firenze (1,7 milioni contro 17 milioni di Malpensa), per esempio, fa sì che l'attesa del taxi all'aeroporto sia come minimo di un'ora, con punte anche di due ore a seconda della fascia oraria, per un rientro al centro città che può durare ulteriori 45 minuti, per una corsa da 20 euro (dunque questa cifra remunera circa un'ora e 30 minuti di lavoro, nella migliore delle ipotesi).
Altrettanto il prezzo della corsa non risponde mai al solo chilometraggio della corsa, ma al costo complessivo del servizio che deve essere economicamente sostenibile. Esso dunque comprende il fattore tempo, il costo del mezzo e tutti gli annessi, il costo del lavoro, il costo dell'infrastruttura radio e del relativo personale, il rischio d'impresa, il costo fiscale. Il prezzo finale pagato dall'utente per la tratta chilometrica effettuata sarà commisurato su tutte queste voci.
Il costo di erogazione del bene o servizio sarà tanto più spalmabile – ma ciò senza un'infrastruttura stradale efficiente non è possibile – , quanto più riuscirà a diffondersi l'output aziendale. A titolo di esempio si pensi ai primi cellulari (o ai primi navigatori) dei primi anni '90, che costavano milioni di lire, fino a che il loro diffondersi li ha resi un bene di consumo di massa.
Che i tariffari taxi dei transfer dagli aeroporti italiani – così tanto reclamizzati in questi giorni – non siano campati in aria, ma commisurati ad un'effettiva sostenibilità economica dell'attività coinvolta, ce lo referenzia il recente studio di comparazione tra i vari paesi del mondo, dell'istituto creditizio Ubs (A comparison of purchasing power around the globe - 2009 edition – Prices and Earnings), che rileva come i taxi italiani siano tra i meno cari d'Europa, seguiti da paesi notoriamente più economici come le ex repubbliche comuniste, la Spagna, il Portogallo e la Grecia.
Diversamente, sempre da rilevazione Ubs, i costi di gestione che l'impresa taxi italiana si trova a sostenere sono tra i più esosi d'Europa.
Così, milioni di persone sono state ancora una volta disinformate ...
Claudio Giudici
Uritaxi Toscana
martedì 2 marzo 2010
Resisterà il Governo alla frode liberista di Draghi e Marcegaglia?
E' in atto una vera e propria guerra tra due visioni del mondo: una autenticamente repubblicana per produzione e lavoro, che vede in prima fila il ministro Giulio Tremonti; un'altra filo-oligarchica sostenuta dagli apologeti del liberismo. Questa guerra passa per le liberalizzazioni che questi ultimi vorrebbero nel settore taxi e trasporti in genere, nelle utilities, nelle professioni.
Se da una parte il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti continua la sua lotta solitaria per una riforma del sistema finanziario internazionale (gli ultimi interventi di giugno sono quello di Lecce durante il G8 e quello durante una conferenza dell'Aspen Institute), una Nuova Bretton Woods ispirata al supremo principio della sovraordinazione della legge e della politica all'arbitrio della finanza, così come richiesto dal suo ideatore, l'economista americano Lyndon LaRouche e come recentemente riaffermato da Benedetto XVI, dall'altra parte le reti liberiste continuano a giocare la loro partita sporca. Queste ultime da un lato chiedono interventi pubblici in aiuto delle banche e delle multinazionali, ma dall'altro pretendono che i settori ancora non liberalizzati siano aperti di modo da poterli fagocitare attraverso processi oligopolistici e di finanziarizzazione.
Forti della apparente stabilizzazione finanziaria avutasi grazie alla decisione presa durante il G20 da parte dei Governi, di rifinanziare i titoli tossici con i soldi dei contribuenti, queste reti, senza alcun pudore provano a mettere alle corde il Governo Berlusconi ed in particolare Giulio Tremonti. E non è un caso che da più parti si cominci a parlare di una sostituzione di Silvio Berlusconi con Mario Draghi o di Giulio Tremonti con Corrado Passera. Se i governanti non ubbidiscono ai banchieri, ecco che i banchieri si sostituiscono a loro!
Ed il processo di “privatizzazione del mondo”, come lo definì Jean Ziegler anni fa, passa per le liberalizzazioni, che se in una primissima fase paiono far tutt'uno con il merito, dopo poco sono funzionali alla creazione di nuovi oligopoli.
Durante l'Assemblea di Confindustria del 21 maggio, la presidente Marcegaglia ha affermato:
Di fatto, non si tratterebbe altro che della fase 2 della oramai nota Operazione Britannia che prese avvio nel 1992 e che sotto il ministero Bersani, durante la scorsa legislatura, era ripartita.
Col pretesto della crisi finanziaria e di un'economia da rilanciare, la principale associazione imprenditoriale italiana, tenta di rimettere al centro del dibattito politico il tema delle liberalizzazioni, di modo da poter conquistare nuovi asset nel mercato italiano. E Mario Draghi gli fa da cassa di risonanza. E' da ricordare allora un recente dato fornito dalla Fondazione Mattei che precisa che l'ammontare del ricavato di tutte le privatizzazioni mondiali dal 1970 ad oggi (1500 miliardi di dollari), nel solo ultimo anno di crac finanziario, è stato superato per oltre 4 volte dai salvataggi pubblici, tanto è strutturalmente debole il processo che esse mettono in moto. E allora ha ragione il ministro Tremonti quando dice che i banchieri non possono farsi le regole da soli!
“La testa di ponte te la creo con il taxi!”
Al primo punto delle liberalizzazioni da affrontare – riecheggiando così la celebre quanto infame guerra dei liberisti – Confindustria pone i trasporti, con inevitabile riferimento ai taxi. Di fatti questo è il settore dove la resistenza alle politiche liberiste potrebbe essere più tenue, in quanto trattasi di un settore caratterizzato dalla presenza di piccoli imprenditori invece che di potenti apparati. Nonostante il fallimento di tutte le riforme liberiste in questo settore – tra le ultime, quella irlandese e quella giapponese sono le più eclatanti – si continua a richiedere insistentemente, strumentalizzando con demagogia e falsità l'istanza del risparmio per gli utenti, l'intervento della dea meretrice delle liberalizzazioni, anche se il settore dei taxi, oggi più di prima, – a distanza di neanche un anno dal “gigantesco” problema che col Governo Prodi sembrava rappresentare per gli Italiani! – sia caratterizzato da una iperpresenza di auto bianche presso stazioni, aeroporti e posteggi, con un calo medio del lavoro tra il 30% ed il 40% e un generalizzato aumento di spesa per l’utente finale vittima delle degenerazioni provocate dall'eccesso di concorrenza sopravvenuto.
La battaglia contro i tassisti italiani, come asserito su più testate giornalistiche, se vinta, rappresenterebbe l'elemento catalizzatore per il più ampio processo di ulteriore impossessamento da parte dei soliti noti, che segnerebbe l'ultima tappa della grande guerra avviata dall'oligarchia finanziaria nel 1992 contro l'economia italiana, accelerandone il processo di disintegrazione.
Sono due i fronti su cui le oligarchie lavorano per mettere al tappeto i piccoli imprenditori del settore taxi. Da un lato, grazie alla collaborazione delle amministrazioni locali amiche, si fa sì che la legge quadro 21/92 non venga applicata nei confronti dei noleggi con conducente (n.c.c.) irregolari, laddove essa, ispirata al principio di territorialità, prevede che gli n.c.c. debbano sostare nella propria autorimessa con sede nel comune autorizzante (art. 3) invece che in piazze o strade prossime agli alberghi dei centri più importanti, e che l'inizio del servizio debba cominciare con partenza dal territorio che ha rilasciato l'autorizzazione (art. 11); dall'altro lato si sta agendo sul fronte fiscale.
A Firenze per esempio – che è una delle città d'avanguardia del tassismo italiano – si sta attuando una vera e propria opera di persecuzione fiscale, con accertamenti a tappeto. Nonostante le dichiarazioni fiscali dei tassisti risultino quasi sempre congrue e coerenti, l'agenzia delle entrate sanziona sistematicamente questi contribuenti, superando ogni logica possibilità di redditività aziendale. Dall'attività accertante, per esempio risulterebbero ritorni di oltre 2 euro per ogni km effettuato per l'anno fiscale 2005, facendo così risultare il chilometraggio complessivo sempre a vettura carica (con sopra il cliente cioè) e senza alcuna destinazione ad uso privato del mezzo. Il chilometraggio medio per corsa, secondo l'agenzia sarebbe di 3,2 km, comportando così un quantitativo corse nell'arco della giornata quanto meno improbabile, senza considerare appunto il ritorno a vuoto al posteggio, ed ipotizzandosi come sistematico, invece, quello che in gergo si chiama il “rimpallo” (l'acquisizione di una nuova corsa dal punto presso cui si è lasciato l'utente dell'ultima corsa effettuata). Gli accertamenti poi prevedono che circa i 2/3 delle corse effettuate sarebbero acquisite tramite radio (il che comporta il sovrapprezzo della chiamata) e con il supplemento bagaglio.
Vista la velocità con cui sta procedendo agli accertamenti l'agenzia, e vista l'entità degli imponibili determinati, questo genere di vera e propria persecuzione fiscale risulta essere funzionale alla distruzione di un intero settore. A tali ritmi, nel giro di un quinquennio saranno i tassisti stessi a richiedere l'entrata di grossi players nel settore (oggi vietata dalla legge), a cui poter “regalare” le proprie licenze. Così anche in questo settore, come già per esempio avvenuto nel commercio, alla attuale iperatomizzazione dove fanno da protagonisti il piccolo imprenditore artigiano e la mutualità cooperativistica, si verrebbe a sostituire un oligopolio tutto centrato su società di capitali che sfruttano il lavoro a basso costo, fanno cartello sui prezzi, producono un servizio inefficiente.
Ma l'assedio che viene avanzato contro questa categoria di lavoratori, non ha rilevanza fine a sé stessa, ma viene a rappresentare il grilletto grazie a cui avviare con effetto domino, la liberalizzazione di tutti i servizi pubblici locali, di modo da consentire a banche e grossi imprenditori di potersi impossessare di interi settori, come fatto durante gli anni '90 con le redditizie banche ed assicurazioni pubbliche, con l'industria siderurgica, energetica, telefonica, con le autostrade, senza che si sia assistito negli anni ad alcun miglioramento di quei settori industriali, quanto piuttosto alla loro finanziarizzazione a tutto discapito della qualità del prodotto o servizio erogato, delle condizioni di lavoro dei collaboratori, e del costo di fruizione finale per gli utenti.
E' in atto allora una vera e propria guerra tra chi vuol riportare il mondo verso l'idea delle Repubbliche sovrane centrate su produzione e lavoro al fine del miglioramento delle condizioni di vita di tutti i cittadini, e chi invece porta avanti il proprio grande gioco del “Monopoli” oligarchico dove la speculazione finanziaria possa crescere sfruttando gli asset dell'economia reale che un branco di “sudditi” deve tenere in piedi in un'ottica di progressiva austerità.
Claudio Giudici
Uritaxi - Firenze
Se da una parte il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti continua la sua lotta solitaria per una riforma del sistema finanziario internazionale (gli ultimi interventi di giugno sono quello di Lecce durante il G8 e quello durante una conferenza dell'Aspen Institute), una Nuova Bretton Woods ispirata al supremo principio della sovraordinazione della legge e della politica all'arbitrio della finanza, così come richiesto dal suo ideatore, l'economista americano Lyndon LaRouche e come recentemente riaffermato da Benedetto XVI, dall'altra parte le reti liberiste continuano a giocare la loro partita sporca. Queste ultime da un lato chiedono interventi pubblici in aiuto delle banche e delle multinazionali, ma dall'altro pretendono che i settori ancora non liberalizzati siano aperti di modo da poterli fagocitare attraverso processi oligopolistici e di finanziarizzazione.
Forti della apparente stabilizzazione finanziaria avutasi grazie alla decisione presa durante il G20 da parte dei Governi, di rifinanziare i titoli tossici con i soldi dei contribuenti, queste reti, senza alcun pudore provano a mettere alle corde il Governo Berlusconi ed in particolare Giulio Tremonti. E non è un caso che da più parti si cominci a parlare di una sostituzione di Silvio Berlusconi con Mario Draghi o di Giulio Tremonti con Corrado Passera. Se i governanti non ubbidiscono ai banchieri, ecco che i banchieri si sostituiscono a loro!
Ed il processo di “privatizzazione del mondo”, come lo definì Jean Ziegler anni fa, passa per le liberalizzazioni, che se in una primissima fase paiono far tutt'uno con il merito, dopo poco sono funzionali alla creazione di nuovi oligopoli.
Durante l'Assemblea di Confindustria del 21 maggio, la presidente Marcegaglia ha affermato:
“C’è una parola che nel dibattito della politica economica in Italia è sparita: liberalizzazioni. È urgente riprendere il cammino interrotto delle liberalizzazioni nei trasporti, nelle comunicazioni, nell’energia, nelle professioni e soprattutto nelle società pubbliche a livello locale, dove stiamo assistendo all’avanzata impressionante del neostatalismo.”Questo Governo, in effetti, ha avuto finora il grande merito dell'aver messo al bando la campagna demagogica per le liberalizzazioni (della cui bontà storica mai nessuno riesce ad offrire un precedente a cui rifarsi), la cui precipua funzione è quella di trasferire fette di mercato ad una ristretta oligarchia finanziaria, senza che da ciò derivi alcun vantaggio per il sistema produttivo, per i lavoratori, per i cittadini.
Di fatto, non si tratterebbe altro che della fase 2 della oramai nota Operazione Britannia che prese avvio nel 1992 e che sotto il ministero Bersani, durante la scorsa legislatura, era ripartita.
Col pretesto della crisi finanziaria e di un'economia da rilanciare, la principale associazione imprenditoriale italiana, tenta di rimettere al centro del dibattito politico il tema delle liberalizzazioni, di modo da poter conquistare nuovi asset nel mercato italiano. E Mario Draghi gli fa da cassa di risonanza. E' da ricordare allora un recente dato fornito dalla Fondazione Mattei che precisa che l'ammontare del ricavato di tutte le privatizzazioni mondiali dal 1970 ad oggi (1500 miliardi di dollari), nel solo ultimo anno di crac finanziario, è stato superato per oltre 4 volte dai salvataggi pubblici, tanto è strutturalmente debole il processo che esse mettono in moto. E allora ha ragione il ministro Tremonti quando dice che i banchieri non possono farsi le regole da soli!
“La testa di ponte te la creo con il taxi!”
Al primo punto delle liberalizzazioni da affrontare – riecheggiando così la celebre quanto infame guerra dei liberisti – Confindustria pone i trasporti, con inevitabile riferimento ai taxi. Di fatti questo è il settore dove la resistenza alle politiche liberiste potrebbe essere più tenue, in quanto trattasi di un settore caratterizzato dalla presenza di piccoli imprenditori invece che di potenti apparati. Nonostante il fallimento di tutte le riforme liberiste in questo settore – tra le ultime, quella irlandese e quella giapponese sono le più eclatanti – si continua a richiedere insistentemente, strumentalizzando con demagogia e falsità l'istanza del risparmio per gli utenti, l'intervento della dea meretrice delle liberalizzazioni, anche se il settore dei taxi, oggi più di prima, – a distanza di neanche un anno dal “gigantesco” problema che col Governo Prodi sembrava rappresentare per gli Italiani! – sia caratterizzato da una iperpresenza di auto bianche presso stazioni, aeroporti e posteggi, con un calo medio del lavoro tra il 30% ed il 40% e un generalizzato aumento di spesa per l’utente finale vittima delle degenerazioni provocate dall'eccesso di concorrenza sopravvenuto.
La battaglia contro i tassisti italiani, come asserito su più testate giornalistiche, se vinta, rappresenterebbe l'elemento catalizzatore per il più ampio processo di ulteriore impossessamento da parte dei soliti noti, che segnerebbe l'ultima tappa della grande guerra avviata dall'oligarchia finanziaria nel 1992 contro l'economia italiana, accelerandone il processo di disintegrazione.
Sono due i fronti su cui le oligarchie lavorano per mettere al tappeto i piccoli imprenditori del settore taxi. Da un lato, grazie alla collaborazione delle amministrazioni locali amiche, si fa sì che la legge quadro 21/92 non venga applicata nei confronti dei noleggi con conducente (n.c.c.) irregolari, laddove essa, ispirata al principio di territorialità, prevede che gli n.c.c. debbano sostare nella propria autorimessa con sede nel comune autorizzante (art. 3) invece che in piazze o strade prossime agli alberghi dei centri più importanti, e che l'inizio del servizio debba cominciare con partenza dal territorio che ha rilasciato l'autorizzazione (art. 11); dall'altro lato si sta agendo sul fronte fiscale.
A Firenze per esempio – che è una delle città d'avanguardia del tassismo italiano – si sta attuando una vera e propria opera di persecuzione fiscale, con accertamenti a tappeto. Nonostante le dichiarazioni fiscali dei tassisti risultino quasi sempre congrue e coerenti, l'agenzia delle entrate sanziona sistematicamente questi contribuenti, superando ogni logica possibilità di redditività aziendale. Dall'attività accertante, per esempio risulterebbero ritorni di oltre 2 euro per ogni km effettuato per l'anno fiscale 2005, facendo così risultare il chilometraggio complessivo sempre a vettura carica (con sopra il cliente cioè) e senza alcuna destinazione ad uso privato del mezzo. Il chilometraggio medio per corsa, secondo l'agenzia sarebbe di 3,2 km, comportando così un quantitativo corse nell'arco della giornata quanto meno improbabile, senza considerare appunto il ritorno a vuoto al posteggio, ed ipotizzandosi come sistematico, invece, quello che in gergo si chiama il “rimpallo” (l'acquisizione di una nuova corsa dal punto presso cui si è lasciato l'utente dell'ultima corsa effettuata). Gli accertamenti poi prevedono che circa i 2/3 delle corse effettuate sarebbero acquisite tramite radio (il che comporta il sovrapprezzo della chiamata) e con il supplemento bagaglio.
Vista la velocità con cui sta procedendo agli accertamenti l'agenzia, e vista l'entità degli imponibili determinati, questo genere di vera e propria persecuzione fiscale risulta essere funzionale alla distruzione di un intero settore. A tali ritmi, nel giro di un quinquennio saranno i tassisti stessi a richiedere l'entrata di grossi players nel settore (oggi vietata dalla legge), a cui poter “regalare” le proprie licenze. Così anche in questo settore, come già per esempio avvenuto nel commercio, alla attuale iperatomizzazione dove fanno da protagonisti il piccolo imprenditore artigiano e la mutualità cooperativistica, si verrebbe a sostituire un oligopolio tutto centrato su società di capitali che sfruttano il lavoro a basso costo, fanno cartello sui prezzi, producono un servizio inefficiente.
Ma l'assedio che viene avanzato contro questa categoria di lavoratori, non ha rilevanza fine a sé stessa, ma viene a rappresentare il grilletto grazie a cui avviare con effetto domino, la liberalizzazione di tutti i servizi pubblici locali, di modo da consentire a banche e grossi imprenditori di potersi impossessare di interi settori, come fatto durante gli anni '90 con le redditizie banche ed assicurazioni pubbliche, con l'industria siderurgica, energetica, telefonica, con le autostrade, senza che si sia assistito negli anni ad alcun miglioramento di quei settori industriali, quanto piuttosto alla loro finanziarizzazione a tutto discapito della qualità del prodotto o servizio erogato, delle condizioni di lavoro dei collaboratori, e del costo di fruizione finale per gli utenti.
E' in atto allora una vera e propria guerra tra chi vuol riportare il mondo verso l'idea delle Repubbliche sovrane centrate su produzione e lavoro al fine del miglioramento delle condizioni di vita di tutti i cittadini, e chi invece porta avanti il proprio grande gioco del “Monopoli” oligarchico dove la speculazione finanziaria possa crescere sfruttando gli asset dell'economia reale che un branco di “sudditi” deve tenere in piedi in un'ottica di progressiva austerità.
Claudio Giudici
Uritaxi - Firenze
Taxi: un’altra vittima del ‘libero’ mercato
Nonostante i mass media abbiano condotto un’incessante campagna per convincerci che il servizio taxi in Italia sia caro ed inefficiente, uno sguardo attento allo studio di BankItalia sui taxi nel mondo, mostra in modo chiaro come i taxi italiani siano tra i meno cari d’Europa. Allora perché tutta questa insistenza sulla liberalizzazione di un servizio che riguarda solo una ridottissima percentuale della popolazione, e che è utilizzato prevalentemente per motivi di lavoro e da benestanti turisti?
La realtà è che il piano di liberalizzazioni punta a fare entrare i grandi capitali nel settore, così come in tutti i settori del servizio pubblico. Si tratta di torte ghiottissime per chi già ha potuto disossare altre aziende pubbliche (Telecom Italia e Autostrade dicono niente?). Grandi guadagni per gli oligarchi, nessun vantaggio per gli utenti.
Lo stesso modello di deregulation, giustificato con l’idea che il ‘libero mercato’ è sempre il sistema più efficiente, è stato sperimentato negli Stati Uniti per i settori delle ferrovie, il trasporto aereo e i prezzi dell’energia elettrica. Il risultato? Numerose società in bancarotta, un sistema ferroviario praticamente scomparso, e prezzi energetici alle stelle.
Lo stesso succederà in Italia se si seguirà un modello che punta a fare risparmiare qualche euro ai consumatori, ma a scapito di garantire un servizio pubblico regolamentato e basato su una società di produttori con un tenore di vita dignitoso.
Dalla tabella risulta che a Bruxelles i taxi costano il 39% ed il 65% in più rispetto a Milano e Roma, e a Londra il 13% ed il 34% in più.
Per la Banca d’Italia, i taxi italiani sono tra i meno cari d’Europa.
Prezzo di una corsa in taxi di 5 km nell’area urbana in alcune città europee ed extra-europee nel 2003[1].
Bruxelles 12,16 euro
Amsterdam 11,75 euro
Copenhagen 11,46 euro
Berlino 9,95 euro
Londra 9,87 euro
Stoccolma 9,78 euro
Praga 9,39 euro
Milano 8,75 euro
Barcellona 8,43 euro
Roma 7,36 euro
New York 7,24 euro
Parigi 7,24 euro
Auckland 6,6 euro
Dublino 4,3 euro
Olanda, Svezia ed Irlanda hanno visto liberalizzato il servizio taxi tra il 1989 ed il 2002. In Olanda vi è stata la liberalizzazione dei prezzi ma nonostante ciò i taxi costano ad Amsterdam il 59,6% in più rispetto a Roma.
In Italia si punta ad aumentare il numero delle licenze – come in Irlanda – ma non a diminuire i prezzi. Quindi il risultato sarà un aumento massiccio delle macchine in circolazione a tutto vantaggio delle grandi società che il Governo intende fare entrare nel settore. Fino ad oggi la legge vietava sia il cumulo delle licenze sia il controllo delle stesse da parte di società. Abrogare questo divieto significherebbe diminuire le regole e la sicurezza costringendo i tassisti ad aumentare gli orari di lavoro (come accade già con gli n.c.c.).
Vogliamo ripetere l’esperienza del primo decreto Bersani sulla liberalizzazione del commercio (d. lgs. 114/98)? Si diceva che servisse per agevolare l’apertura di attività a tutti, ed una più ampia distribuzione dei
prodotti sul territorio. Il risultato è stato la moria delle piccole attività (i fondi vengono trasformati in mono e bilocali) a tutto vantaggio della grande distribuzione. Chi lavorava ha perso il lavoro ed i prezzi non sono certo diminuiti!
La nostra proposta è che si abbandoni l'ideologica politica delle liberalizzazioni e si apra un bilancio in conto capitale con cui finanziare l'allargamento delle reti di trasporto pubblico metropolitano, assieme a tutte le altre opere infrastrutturali di cui il Paese ha urgente bisogno. Si tratta di attuare una svolta rooseveltiana – come indicata dal leader democratico americano Lyndon LaRouche – in cui i nostri rappresentanti politici e di governo abbiano il coraggio di mettere in discussione i diktat della grande finanza internazionale che si esprimono nella politica dei tagli al bilancio imposta dal Patto di Stabilità. Gli investimenti nelle infrastrutture – garanzia per la crescita futura – vanno considerati indispensabili perché diretti a incrementare il bene comune. O si attua questo cambiamento o l'Italia e l'Europa tutta sprofonderanno nell'ingovernabilità!
Città - Superficie (km2) - Lungh. metro (km)
Monaco - 310 - 90
Milano - 182 - 75
Roma - 1285 - 38
Barcellona - 100 - 102
Se si vuole veramente migliorare la vivibilità delle nostre città, si deve potenziare il sistema metropolitano – questo sì veramente deficitario a cospetto delle altre città europee!
[1] Occasional Paper di Febbraio 2007, n. 5.
http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/quest_ecofin/QEF_5.pdf
La realtà è che il piano di liberalizzazioni punta a fare entrare i grandi capitali nel settore, così come in tutti i settori del servizio pubblico. Si tratta di torte ghiottissime per chi già ha potuto disossare altre aziende pubbliche (Telecom Italia e Autostrade dicono niente?). Grandi guadagni per gli oligarchi, nessun vantaggio per gli utenti.
Lo stesso modello di deregulation, giustificato con l’idea che il ‘libero mercato’ è sempre il sistema più efficiente, è stato sperimentato negli Stati Uniti per i settori delle ferrovie, il trasporto aereo e i prezzi dell’energia elettrica. Il risultato? Numerose società in bancarotta, un sistema ferroviario praticamente scomparso, e prezzi energetici alle stelle.
Lo stesso succederà in Italia se si seguirà un modello che punta a fare risparmiare qualche euro ai consumatori, ma a scapito di garantire un servizio pubblico regolamentato e basato su una società di produttori con un tenore di vita dignitoso.
Dalla tabella risulta che a Bruxelles i taxi costano il 39% ed il 65% in più rispetto a Milano e Roma, e a Londra il 13% ed il 34% in più.
Per la Banca d’Italia, i taxi italiani sono tra i meno cari d’Europa.
Prezzo di una corsa in taxi di 5 km nell’area urbana in alcune città europee ed extra-europee nel 2003[1].
Bruxelles 12,16 euro
Amsterdam 11,75 euro
Copenhagen 11,46 euro
Berlino 9,95 euro
Londra 9,87 euro
Stoccolma 9,78 euro
Praga 9,39 euro
Milano 8,75 euro
Barcellona 8,43 euro
Roma 7,36 euro
New York 7,24 euro
Parigi 7,24 euro
Auckland 6,6 euro
Dublino 4,3 euro
Olanda, Svezia ed Irlanda hanno visto liberalizzato il servizio taxi tra il 1989 ed il 2002. In Olanda vi è stata la liberalizzazione dei prezzi ma nonostante ciò i taxi costano ad Amsterdam il 59,6% in più rispetto a Roma.
In Italia si punta ad aumentare il numero delle licenze – come in Irlanda – ma non a diminuire i prezzi. Quindi il risultato sarà un aumento massiccio delle macchine in circolazione a tutto vantaggio delle grandi società che il Governo intende fare entrare nel settore. Fino ad oggi la legge vietava sia il cumulo delle licenze sia il controllo delle stesse da parte di società. Abrogare questo divieto significherebbe diminuire le regole e la sicurezza costringendo i tassisti ad aumentare gli orari di lavoro (come accade già con gli n.c.c.).
Vogliamo ripetere l’esperienza del primo decreto Bersani sulla liberalizzazione del commercio (d. lgs. 114/98)? Si diceva che servisse per agevolare l’apertura di attività a tutti, ed una più ampia distribuzione dei
prodotti sul territorio. Il risultato è stato la moria delle piccole attività (i fondi vengono trasformati in mono e bilocali) a tutto vantaggio della grande distribuzione. Chi lavorava ha perso il lavoro ed i prezzi non sono certo diminuiti!
La nostra proposta è che si abbandoni l'ideologica politica delle liberalizzazioni e si apra un bilancio in conto capitale con cui finanziare l'allargamento delle reti di trasporto pubblico metropolitano, assieme a tutte le altre opere infrastrutturali di cui il Paese ha urgente bisogno. Si tratta di attuare una svolta rooseveltiana – come indicata dal leader democratico americano Lyndon LaRouche – in cui i nostri rappresentanti politici e di governo abbiano il coraggio di mettere in discussione i diktat della grande finanza internazionale che si esprimono nella politica dei tagli al bilancio imposta dal Patto di Stabilità. Gli investimenti nelle infrastrutture – garanzia per la crescita futura – vanno considerati indispensabili perché diretti a incrementare il bene comune. O si attua questo cambiamento o l'Italia e l'Europa tutta sprofonderanno nell'ingovernabilità!
Città - Superficie (km2) - Lungh. metro (km)
Monaco - 310 - 90
Milano - 182 - 75
Roma - 1285 - 38
Barcellona - 100 - 102
Se si vuole veramente migliorare la vivibilità delle nostre città, si deve potenziare il sistema metropolitano – questo sì veramente deficitario a cospetto delle altre città europee!
[1] Occasional Paper di Febbraio 2007, n. 5.
http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/quest_ecofin/QEF_5.pdf
Tassisti-noleggiatori: grazie agli irregolari, chi rischia di vincere è la grande finanza
Federico Caffè, settembre 1972
Firenze, 29 marzo 2008.“E' ben noto, dalla letteratura sull'oligopolio che la spregiudicatezza è uno dei tratti caratteristici delle strategie e tattiche che vi si adottano. In modo analogo, l'accentuazione in senso pessimistico di una situazione che ovviamente non sia brillante ma nemmeno catastrofica, può essere una strategia efficace per modificare l'esistente ordine delle cose, allorché si faccia avanti 'un nuovo pretendente che reclama una fetta di potere'.”
Il Venerdì di Repubblica del 27 marzo scorso, titola un servizio riguardante taxi ed n.c.c. “Autoscontro: nella guerra tassisti-noleggiatori, chi rischia di perdere è il cliente”. Con clamorosi errori tecnici, il servizio ricostruisce subdolamente la situazione calda creatasi nel settore del trasporto pubblico locale non di linea, come uno scontro tra tassisti e noleggiatori, piuttosto che come invece esso realmente si presenta, tra tassisti e noleggiatori regolari da una parte ed irregolari dall'altra.
Negli ultimi anni si è assistito sul territorio nazionale ad un fenomeno di progressiva “liberalizzazione di fatto” del settore del trasporto pubblico locale non di linea (taxi ed n.c.c.). Il sensato principio per cui le amministrazioni dovrebbero emettere licenze taxi ed autorizzazioni n.c.c. in funzione delle reali esigenze locali date dai flussi turistici, dagli snodi viari, dalle presenze di strutture aeroportuali, ferroviarie, ospedaliere, alberghiere, congressiste, sportive ed ovviamente dalla richiesta cittadina, è stato di fatto superato e sostituito dall'indiscriminatezza autorizzativa che ha dato avvio ad una dinamica iperconcorrenziale maturata in violazioni di legge e sfruttamento del lavoro a basso costo.
I piccoli comuni – il caso più eclatante è quello di Francavilla al Mare – inondano il mercato di vetture dedite al trasporto pubblico non di linea (quasi esclusivamente n.c.c.) senza alcuna reale necessità. Di fatto essendo impossibile la sostenibilità economica dell'attività in assenza di una corrispondente domanda di servizio, i beneficiari delle nuove autorizzazioni n.c.c. si trasferiscono nelle piazze turistiche più importarti (Roma, Milano, Firenze, Napoli, Bologna, ecc.) violando la normativa che stabilisce 1) che il servizio n.c.c. lo si acquisisce presso la propria autorimessa (pur potendo prelevare fisicamente il cliente in altro comune), e 2) che il mezzo deve sostare presso di essa e non su piazza. Ecco così creati gli n.c.c. irregolari.
Così, ora che la crisi finanziaria ha colpito pure questo settore, taxi e n.c.c. regolari, per veder tutelata la legalità, vanno costituendo un fronte comune contro gli irregolari.
Per rendere più difficile l'attività di controllo da parte degli organi preposti, le amministrazioni hanno tolto i riferimenti normativi della legge quadro 21/92 (in particolare l'art. 3 che prevede la sosta dell'n.c.c. presso l'autorimessa). Ingenui o corrotti che siano, gli amministratori locali che si fanno promotori di iniziative di tal genere, divengono complici della creazione di questo mercato irregolare fatto di violazioni di legge, di truffe all'utenza, di cattiva pubblicità all'economia nazionale. Questi amministratori di piccoli comuni giustificano il loro irresponsabile comportamento asserendo di aver così creato nuovi posti di lavoro – una riedizione dell'incompetente prassi che negli anni '70 ed '80, in presenza di disoccupati, portò alla creazione di posti di lavoro non necessari presso la pubblica amministrazione – , e di aver così colmato eventuali carenze di offerta di servizio nelle città più importanti – finendo così col legittimare eventuali resistenze dei tassisti e dei noleggiatori locali a veder concesse nuove licenze od autorizzazioni. A ciò si aggiungono poi forme di clientelismo, mascherate da bandi di concorso a cui viene data pubblicità pressochè inesistente. A questo proposito, un ultimissimo caso è quello del comune di Scandicci, che dopo aver proposto alle parti sociali un aumento delle autorizzazioni n.c.c. da 12 a 20, con dunque un aumento di 8 unità (circa del 70% in più), trovatosi di fronte agli sconfortanti dati economici della sua realtà locale messi sul tavolo dai sindacati, ha rivisto quella iniziale volontà, portando l'aumento a sole 2 unità (rivedendo dunque dell'80% la originaria intenzione!).
Così il caos che sta verificandosi nel settore del trasporto pubblico locale non di linea (taxi ed n.c.c.) è il frutto di un preciso atto d'irresponsabilità politica e morale su cui ha trovato perno l'ideologia liberista, ossia quella barbara idea per cui una realtà abbandonata ad una teorica libertà (e ad una concreta legge della giungla, del più scorretto, del più agganciato, del più finanziariamente forte) sarebbe meglio regolata rispetto a quella su cui si agisse attraverso precisi atti di volontà volti ad armonizzarla nei modi più giusti.
Ma se tutto ciò ci racconta il livello più superficiale di tutta la faccenda, una strategia di più ampio respiro pare interessare attori ben più importanti. Infatti, questa caotica situazione, fatta di lotte per la legalità tra tassisti ed n.c.c. regolari da una parte, ed irregolari dall'altra, alla cui gara lo sparo di via è stato dato, come già detto, da irresponsabili amministratori locali, finisce col creare il terreno fertile affinchè grossi players economico-finanziari possano entrare in un settore a prevalente presenza, ancor oggi, di piccola imprenditoria. Non è infatti un caso che la versione originaria del progetto di liberalizzazione Bersani del settore, prevedesse l'eliminazione del divieto del cumulo di licenze e del divieto di intestazione delle licenze a persone giuridiche; provvedimenti ovviamente funzionali all'entrata nel settore di grossi operatori finanziari. Ed altrettanto non è un caso che il disegno di legge Aracri consentisse di far venir meno il principio della territorialità degli n.c.c. riconoscendogli la possibilità di costituire sedi secondarie su tutto il territorio nazionale (a tutto vantaggio dei grossi gruppi). Come dire che un giorno sì e l'altro pure, i grossi gruppi, attraverso i loro alfieri in Parlamento, provano ad entrare anche in questo mercato. Ecco che non trovando ancora il terreno fertile per lo stravolgimento del settore, una diretta od indiretta man forte, gli arriva dall'orgia di provvedimenti autorizzativi di n.c.c. da parte dei piccoli comuni, le cui decisioni restano spesso nell'ombra. L'esasperazione della concorrenza, porta infatti alla costante riduzione della sostenibilità economica dell'attività dei piccoli imprenditori protagonisti del settore, finendo così per ridurre la loro resistenza ai tentativi di subentro da parte dei grossi oligopolisti, che farebbero razzia di licenze taxi e di autorizzazioni n.c.c.
Le dinamiche tipiche del bluff delle liberalizzazioni – visto che una liberalizzazione di fatto si sta avendo – sono già in corso: nella prima fase i prezzi di fruizione tendono a scendere, perchè i nuovi arrivati per sbarcare il lunario sono disposti a stare sul mercato a condizioni economiche che poi dopo poco tempo risultano essere insostenibili; nella seconda fase gli operatori provano a resistere alla tentazione di adeguarsi ai nuovi insostenibili prezzi, ma col prolungarsi di questa fase, anch'essi tendono a seguire il nuovo corso; nella terza fase, quando l'insostenibilità economica diviene evidente, cominciano a sparire gli operatori più deboli ed ecco allora che i grossi gruppi possono acquistare a prezzi di saldo, fare oligopolio, e dunque imporre nuovi prezzi e tariffe, solitamente più elevati rispetto a quelli presenti nel precedente corso.
Claudio Giudici
Uritaxi Toscana
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