“E' ben noto, dalla letteratura sull'oligopolio che la spregiudicatezza è uno dei tratti caratteristici delle strategie e tattiche che vi si adottano. In modo analogo, l'accentuazione in senso pessimistico di una situazione che ovviamente non sia brillante ma nemmeno catastrofica, può essere una strategia efficace per modificare l'esistente ordine delle cose, allorché si faccia avanti 'un nuovo pretendente che reclama una fetta di potere'”.
Federico Caffè, settembre 1972
Parlare di rendita di posizione, così com'è nell'accezione oramai diffusasi, è un inganno.
La dottrina economica ne parla originariamente in relazione alla rendita fondiaria per sottolineare il vantaggio reddituale che un'area ha sulle altre. Successivamente essa è divenuta il sovraprofitto ottenuto grazie alla non perfetta concorrenza nel mercato. Ma le idee di libero mercato e di concorrenza perfetta non hanno a che fare con la realtà delle cose umane. Diversamente, esse sono funzionali a combattere deboli operatori economici, a tutto vantaggio di operatori più forti.
Oggi, non sentiamo mai parlare di libero mercato in merito al settore bancario o a quello petrolifero, controllati a livello mondiale da ristrettissimi oligopoli. Il mercato turistico globale è in mano ad un solo grande operatore. In Italia il settore bancario è controllato da due operatori; la distribuzione commerciale (liberalizzata a fine anni '90) è già oggetto di oligopolio, mentre il sistema infrastrutturale – aeroporti, stazioni ferroviarie, autostrade, che sono monopoli naturali – è controllato da pochissimi operatori.
Il paradosso, è che queste situazioni di controllo del mercato – che però i corrotti apologeti delle liberalizzazioni mai denunciano – sono il frutto di un precedente processo di liberalizzazione, dove si è messo sotto accusa un sistema di mercato diffuso tra piccoli operatori (paradigmatico, appunto, il caso della liberalizzazione del commercio in Italia, attraverso il primo decreto Bersani) o concentrato nella mano pubblica.
Ciò a cui dobbiamo guardare, è se una rivendicazione sia o meno funzionale al raggiungimento di un più elevato livello di bene comune. A quest'ultimo, infatti, dobbiamo mirare, e non al libero mercato integralisticamente inteso, che lungi dall'essere un presupposto del bene comune, ne è storicamente (e per la Costituzione italiana) un suo nemico. Il “libero” mercato, rimesso alla mano invisibile del mercato – come vorrebbe la teoria liberista – , è nella realtà un mercato controllato dagli operatori finanziari più forti. Il mercato deve essere ben regolamentato, così come si mira a regolamentare qualsiasi umana espressione, per il raggiungimento dei fini che gli sono propri.
Allora, all'idea di “libero mercato” si deve contrapporre quella di “giusto mercato”.
All'indomani dell'approvazione in Consiglio dei Ministri della seconda lenzuolata Bersani (2006), dopo quella del 1998, l'allora Ministro alle infrastrutture Antonio di Pietro1 affermò: “Quando una rendita di posizione è messa in discussione è ovvio che le categorie interessate, penso ad esempio ai tassisti, alle farmacie e ai notai, si sentano in qualche modo defraudate di un diritto. Ma il libero mercato non è fatto di rendite e un governo ha l’obbligo di tutelare la pluralità dei cittadini, non una singola categoria.”
Esatto, il Governo ha l'obbligo di tutelare la pluralità dei cittadini e non una singola categoria, né tanto meno combattere quella singola categoria per consentire agli amici di farsene un sol boccone!2
Il ragionamento di Di Pietro parrebbe non fare una piega. Eppure, se andiamo a guardare come operò il d. lgs. 214/1998, più comunemente conosciuto come primo decreto Bersani, ciò che ad una prima lettura appare come prezioso oro, risulterà ben presto del misero ottone.
Il primo decreto Bersani aveva in scopo, nelle intenzioni dichiarate dal legislatore e da molti opinion makers (politici, economisti, giornalisti, ecc.), una maggiore diffusione dei prodotti sul territorio, di modo da consentire all'anziana signora di trovare sotto casa l'ortolano, piuttosto che il negozio di scarpe (questa era la toccante storiella raccontata con più frequenza). Così, venne meno l'obbligo del rispetto delle distanze tra un esercizio economico ed uno di pari settore merceologico (venne meno anche la regolamentazione tra settori merceologici), e si aprì la porta alle grosse catene commerciali che poterono collocarsi in prossimità di quelli che, con nome esotico, oggi vengono chiamati “centri commerciali naturali”. Il risultato del processo avviato, è stato diametralmente opposto a quello auspicato dal legislatore e dagli opinion makers: la forte capacità finanziaria dei grossi gruppi commerciali ha sbaragliato la concorrenza, portando così alla moria dei piccoli esercizi commerciali (nel frattempo trasformati in mono e bilocali che hanno pasturato nel grande mare della speculazione immobiliare), fino ad arrivare ad un mercato controllato per oltre il 70%, da un ristretto oligopolio. Così, adesso, l'anziana signora non ha più né a pochi passi, né tanto meno sotto casa, l'ortolano o il calzolaio … ma di Bersani che abbiano interesse a ricordarsene è difficile trovarne!
Non è un caso, per esempio, che la rivista della Coop, l'Informatore, del dicembre 2000, riportasse: “La rendita di posizione del negozietto a prezzi stratosferici [sic!] non può essere difesa a scapito della pensionata sociale, dell'operaio che deve fare i conti col salario”3. I “prezzi stratosferici” del negozietto … la pensionata e l'operaio che trovano rifugio nella Coop (da guinness dei primati, che da lì a poco sarebbe stata aperta a Le Piagge di Firenze …).
Ma dobbiamo trovare dei validi riferimenti, per capire se parlare di rendita di posizione sia strumentale a qualche disegno oligarchico, oppure meritevole in sé stesso.
Nei Discorsi sulla prima deca di Tito Livio, Niccolò Machiavelli afferma:
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Cosap a Firenze: provando a battere ogni record!
Rileviamo dai giornali locali che il contributo per l'occupazione del suolo pubblico gravante sulle categorie commerciali e di pubblico servizio, subirà aumenti tra il 30% ed il 170%.
E' paradossale rilevare che in una fase di crisi economica come l'attuale, gli oneri gravanti sulle aziende – prevalentemente espressione della piccola impresa – vengano aumentati piuttosto che diminuiti. Se il Governo ha dato qualche aiuto al tessuto imprenditoriale, nonostante la gravosità del debito pubblico italiano, l'Amministrazione fiorentina pare intenzionata ad andare in tutt'altra direzione.
Nello specifico è interessante rilevare come la C.o.s.a.p. applicata a Firenze fosse già tra le più esose d'Italia.
La tabella sotto renderà chiara la situazione.
Banchetto di vendita di specialità tipiche non alimentari di dimensione 2 mq:
Se questi sono i dati comparabili a livello nazionale, il punto non è allora quello per cui le categorie produttive devono avere il coraggio di dichiarare quanto guadagnano.
In merito al settore taxi, città come Milano, Roma e Torino non caricano questo servizio pubblico con oneri relativi all'occupazione del suolo pubblico. Per di più, posteggi come quello di via il Prato, via Pio Fedi, piazza Beccaria, via di Novoli, piazza delle Cure, piazzale Donatello, piazza Santa Maria Soprarno, via Calatafimi, le stazioni di Campo di Marte e Rifredi, piazza San Giovanni, piazza Pitti, piazza Giorgini, piazza Indipendenza, piazza della Libertà, piazzale Michelangelo, piazza Pier Vettori e piazza Starnina, sono sistematicamente occupati da mezzi non autorizzati.
Tuttavia, a parte le specificità del settore taxi, la valutazione di fondo resta quella fatta all'inizio: in una fase di contrazione della redditività economica sul fronte delle entrate, stringere la morsa aumentando i costi amministrativi di gestione d'impresa, è una scelta paradossale e profondamente sbagliata.
Ufficio Studi Uritaxi
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Viva la velocità! Tassisti ed utenti sono d'accordo.
Quanto incide il traffico sul costo del taxi?
Spesso gli amministratori locali si pongono di fronte alla primaria della questione della velocizzazione del servizio taxi come di fronte ad un'istanza di parte dei tassisti. In realtà, il traffico e la bassa velocità di espletamento del servizio rappresentano un danno anche per l'utente.
A titolo esemplificativo, svilupperemo un caso ipotetico.
Supponiamo di fare una corsa in taxi di circa 4 km (come potrebbe essere da piazza Starnina a piazza Santa Croce a Firenze). Questa corsa, se fatta ad una velocità media superiore ai 20 km/h ci consentirà di completare il servizio in 11 minuti ed avrà un costo di 6,9 euro.
Il medesimo costo lo avrà, nel rispetto del limite di velocità di 50 km/h, a seconda che ci mettiamo 5, 6, 7, 8, 9, 10 minuti. L'utente per ogni minuto in più di corsa non subirà aumenti di prezzo poiché la velocità si manterrà costantemente sopra i 20 km/h e dunque non scatterà la tariffa a tempo. Tuttavia questo rallentamento nella velocità comporterà un danno economico al tassista lavoratore, in quanto vedrà dei minuti del proprio lavoro come non remunerati. Se questo è un piccolo danno durante una corsa, sarà sempre meno piccolo a fine giornata lavorativa, a fine mese ed a fine anno.
Supponiamo poi di fare il medesimo percorso con traffico più intenso, tale da far scendere la velocità costantemente sotto i 20 km/h. In questo caso scatterà la tariffa a tempo e dunque il lavoro del tassista comincerà ad essere nuovamente retribuito. Sarebbe però fuorviante considerare un vantaggio economico l'avvio di questa fase tassametrica.
Il grafico sotto, relativamente al caso simulato, ci mostra il danno economico percentuale subito dal lavoratore, per ogni minuto in più perso per completare il servizio, rispetto agli ottimali 5 minuti di corsa, ai 6, 7, 8, 9, 10, ed 11 minuti (dai 5 agli 11 minuti abbiamo rilevato che il costo della corsa sarà sempre di 6,9 euro), ciascuno dei quali confrontati con minutaggi superiori fino ai 20 minuti.
Il grafico ci racconta che il danno economico subito dal lavoratore a causa del traffico andrà da un massimo del 54% ad un -2,66%. Quest'ultimo caso è riferibile all'ipotesi in cui la corsa durasse 12 minuti invece di 10 (per il percorso da 4 km); in questo caso infatti il tassista avrebbe ottenuto un vantaggio economico del 2,66% grazie al rallentamento del traffico. Come ben si capirà però, a parte questo sporadico caso limite, in tutti gli altri casi il traffico e dunque la bassa velocità di crociera, saranno un danno costante per il tassista lavoratore, rispetto al ricavo potenziale ottimale.
Tutte e 6 le linee spezzate ascendenti, ci mostrano infatti una costante fase di danno economico recato al lavoratore dalla bassa velocità di crociera.
Il traffico recherà ovviamente un danno anche all'utente (sia per il tempo perso, che per la maggior tariffa che si troverà a pagare).
Il grafico sotto ci mostra l'entità del danno subito dall'utente:
La linea ascendente ci mostra l'entità del danno percentuale subito dall'utente. In termini di costo, per il caso ipotizzato, il danno sarà nullo fino a sei minuti in più di durata della corsa; dai 7 minuti in su invece anche l'utente subirà un diretto danno economico.
A livello propositivo sarà allora necessario, per evitare questo genere di disagi, oltre ad un aumento dei percorsi dedicati a corsie preferenziali, che la politica della viabilità torni a fondarsi sulle strade a doppio senso di circolazione. Queste ultime sono sempre meno frequenti poiché i lati delle strade vengono utilizzati per ricavarne posti auto. Per invertire questo genere di tendenza è necessario allora che riprenda vigore la politica dell'infrastrutturazione arrestatasi circa quarant'anni fa, che non può prescindere dallo sfruttamento del sottosuolo, e che consentirebbe di ricavare posti auto sotterranei, liberando così superficie viabile e accorciando e velocizzando i percorsi.
Ufficio Studi Uritaxi
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Se l'aereo non rende abbastanza, ecco il taxi!
In seguito all'annuncio del Comune di Roma di riaggiornare le tariffe fisse dall'aeroporto di Fiumicino al centro romano, è scesa in campo l'associazione delle flotte aeree in Italia, la quale è venuta a denunciare che “non si fa gioco di squadra”.
Secondo quest'ultima, l'aumento del costo del taxi a Roma, scoraggerebbe i turisti a prendere l'aereo. Una posizione questa – almeno per gli esperti del settore – talmente improbabile che non può non far pensare che dietro vi sia ben altro. Infatti, è risaputo e confermato da ogni studio – Banca d'Italia compresa – che la domanda di servizio taxi è una domanda non elastica. Ciò vuol dire che una variazione realistica del costo del taxi è sostanzialmente non incidente sulla quantità di domanda di servizio. Se per esempio una corsa in taxi dall'aeroporto di Firenze al centro, da 20 euro andasse a costare anche un inverosimile 30% in meno, ciò non rappresenterebbe un incentivo per l'utente, poiché la differenza di prezzo con il mezzo alternativo (il bus) resterebbe ugualmente abissale (5 euro).
Ciò è confermato anche dalla recente esperienza del Comune di Torino, la quale puntava ad aumentare la domanda di servizio imponendo corse da 5 euro all'interno della ztl ambientale. Essa è di fatto fallita in quanto anche in presenza di un costo così basso, non vi è stata una sensibile crescita della clientela.
La presa di posizione delle flotte aeree è tanto più pretestuosa se si considera la crescita, fino a pochi anni fa impensabile, dei trasferimenti attraverso auto private da e per gli aeroporti, il cui prezzo è anche tre volte superiore rispetto al servizio pubblico del taxi. Contro di ciò, però, nonostante le ripetute denunce del settore taxi, mai una presa di posizione (!).
Tutto ciò va osservato alla luce di quel processo di despecializzazione tipico di questa fase finale dell'attuale modello economico. Così come le grandi catene commerciali alimentari necessitano di nuovi settori per superare la saturazione delle proprie capacità profittuali (ecco allora l'apertura al mercato dei quotidiani, delle medicine, della telefonia, dei combustibili, ecc.), altrettanto le grandi compagnie aeree necessitano di vedersi aprire il settore del trasporto taxi, dopo aver ottenuto quello dei bus shuttle. La necessità di accrescere gli utili, d'altronde, vede alcune compagnie aeree low cost studiare sistemi di volo in piedi (!), di modo da guadagnare nuovi posti di viaggio sui loro mezzi.
Pretesto per pretesto, ecco ripartire la campagna mediatica a livello nazionale contro l'unico settore che in Italia continua a resistere contro l'oligarchica deriva liberista delle liberalizzazioni-privatizzazioni. Il sistema della piccola impresa che domina nel settore taxi, la quale è riuscita a fare sistema grazie al modello delle cooperative, è l'unico esempio a livello nazionale di quell'azionariato dei lavoratori di cui poco tempo fa parlò anche il Ministro dell'economia Giulio Tremonti. Un modello questo, che se facesse scuola, rappresenterebbe un vero e proprio pericolo per il capitalismo dei mega accentramenti proprietari creatosi sotto il sistema della globalizzazione finanziaria.
Così, ecco spuntare analisi e raffronti di una incompetenza e stupidità tali, che una farsa shakespeariana non avrebbe saputo ricostruire meglio.
La campagna mediatica lanciata si è concentrata sull'insensato paragone tra il costo di una tratta aerea ed il costo di una corsa in taxi. Si capirà bene che un raffronto di questo genere, per quanto d'impatto, sarebbe come raffrontare un chilo di carne rossa (sui 13 euro) ed un chilo di insalata (intorno a 1,5 euro).
Volendo cercare di comprendere la ragione principale della non raffrontabile differenza di costo tra una corsa in taxi ed un volo aereo – ma dovrebbe essere più che evidente! – , è il più alto tasso tecnologico presente nel mezzo di trasporto aereo a renderlo complessivamente più economico rispetto all'oramai vetusto mezzo di locomozione, chiamato auto.
Nello specifico dei paragoni fatti tra città e città in merito al transfer dall'aeroporto verso il centro cittadino, vanno rilevati alcuni aspetti determinanti. Si pensi al raffronto tra il transfer dell'aeroporto di Firenze con quello di Milano. Il numero di passeggeri che sbarcano a Firenze (1,7 milioni contro 17 milioni di Malpensa), per esempio, fa sì che l'attesa del taxi all'aeroporto sia come minimo di un'ora, con punte anche di due ore a seconda della fascia oraria, per un rientro al centro città che può durare ulteriori 45 minuti, per una corsa da 20 euro (dunque questa cifra remunera circa un'ora e 30 minuti di lavoro, nella migliore delle ipotesi).
Altrettanto il prezzo della corsa non risponde mai al solo chilometraggio della corsa, ma al costo complessivo del servizio che deve essere economicamente sostenibile. Esso dunque comprende il fattore tempo, il costo del mezzo e tutti gli annessi, il costo del lavoro, il costo dell'infrastruttura radio e del relativo personale, il rischio d'impresa, il costo fiscale. Il prezzo finale pagato dall'utente per la tratta chilometrica effettuata sarà commisurato su tutte queste voci.
Il costo di erogazione del bene o servizio sarà tanto più spalmabile – ma ciò senza un'infrastruttura stradale efficiente non è possibile – , quanto più riuscirà a diffondersi l'output aziendale. A titolo di esempio si pensi ai primi cellulari (o ai primi navigatori) dei primi anni '90, che costavano milioni di lire, fino a che il loro diffondersi li ha resi un bene di consumo di massa.
Che i tariffari taxi dei transfer dagli aeroporti italiani – così tanto reclamizzati in questi giorni – non siano campati in aria, ma commisurati ad un'effettiva sostenibilità economica dell'attività coinvolta, ce lo referenzia il recente studio di comparazione tra i vari paesi del mondo, dell'istituto creditizio Ubs (A comparison of purchasing power around the globe - 2009 edition – Prices and Earnings), che rileva come i taxi italiani siano tra i meno cari d'Europa, seguiti da paesi notoriamente più economici come le ex repubbliche comuniste, la Spagna, il Portogallo e la Grecia.
Diversamente, sempre da rilevazione Ubs, i costi di gestione che l'impresa taxi italiana si trova a sostenere sono tra i più esosi d'Europa.
Così, milioni di persone sono state ancora una volta disinformate ...
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Studio Ubs 2009 che dimostra, tra le altre cose, che i taxi italiani hanno tariffari tra i più bassi d'Europa.
Cinque minuti in taxi per migliorare la viabilità cittadina
Con questo studio si dimostra che le liberalizzazioni del settore taxi hanno fallito in tutto il mondo. Esse sono soltanto uno strumento per trasferire questo appetito settore in mano ad un ristretto oligopolio privato che non dà alcun vantaggio al servizio, agli utenti ed ai lavoratori.
Nuovi n.c.c. a Scandicci? Ogni dato dice trattarsi di una proposta ideologica
Il seguente memorandum è volto a dimostrare l’assoluta inutilità della proposta avanzataci dall’amministrazione scandiccese di emissione di nuove autorizzazioni di noleggio con conducente (da 12 a 20), al fine del miglioramento dell’efficienza del servizio di trasporto pubblico non di linea a Scandicci.
Le motivazioni che starebbero dietro la volontà dell’amministrazione consisterebbero in un’aumentata richiesta di servizio per pressioni dei cittadini nonché per l’aumentato numero delle aziende scandiccesi dal 2001 (l’anno di riferimento è il 2001 perché l’ultima emissione di autorizzazioni n.c.c. risale a quell’anno).
Con queste considerazioni dimostreremo l’improbabilità delle due motivazioni.
Resisterà il Governo alla frode liberista di Draghi e Marcegaglia?
E' in atto una vera e propria guerra tra due visioni del mondo: una autenticamente repubblicana per produzione e lavoro, che vede in prima fila il ministro Giulio Tremonti; un'altra filo-oligarchica sostenuta dagli apologeti del liberismo. Questa guerra passa per le liberalizzazioni che questi ultimi vorrebbero nel settore taxi e trasporti in genere, nelle utilities, nelle professioni.
Se da una parte il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti continua la sua lotta solitaria per una riforma del sistema finanziario internazionale (gli ultimi interventi di giugno sono quello di Lecce durante il G8 e quello durante una conferenza dell'Aspen Institute), una Nuova Bretton Woods ispirata al supremo principio della sovraordinazione della legge e della politica all'arbitrio della finanza, così come richiesto dal suo ideatore, l'economista americano Lyndon LaRouche e come recentemente riaffermato da Benedetto XVI, dall'altra parte le reti liberiste continuano a giocare la loro partita sporca. Queste ultime da un lato chiedono interventi pubblici in aiuto delle banche e delle multinazionali, ma dall'altro pretendono che i settori ancora non liberalizzati siano aperti di modo da poterli fagocitare attraverso processi oligopolistici e di finanziarizzazione.
Forti della apparente stabilizzazione finanziaria avutasi grazie alla decisione presa durante il G20 da parte dei Governi, di rifinanziare i titoli tossici con i soldi dei contribuenti, queste reti, senza alcun pudore provano a mettere alle corde il Governo Berlusconi ed in particolare Giulio Tremonti. E non è un caso che da più parti si cominci a parlare di una sostituzione di Silvio Berlusconi con Mario Draghi o di Giulio Tremonti con Corrado Passera. Se i governanti non ubbidiscono ai banchieri, ecco che i banchieri si sostituiscono a loro!
Ed il processo di “privatizzazione del mondo”, come lo definì Jean Ziegler anni fa, passa per le liberalizzazioni, che se in una primissima fase paiono far tutt'uno con il merito, dopo poco sono funzionali alla creazione di nuovi oligopoli.
Durante l'Assemblea di Confindustria del 21 maggio, la presidente Marcegaglia ha affermato:
“C’è una parola che nel dibattito della politica economica in Italia è sparita: liberalizzazioni. È urgente riprendere il cammino interrotto delle liberalizzazioni nei trasporti, nelle comunicazioni, nell’energia, nelle professioni e soprattutto nelle società pubbliche a livello locale, dove stiamo assistendo all’avanzata impressionante del neostatalismo.”
Questo Governo, in effetti, ha avuto finora il grande merito dell'aver messo al bando la campagna demagogica per le liberalizzazioni (della cui bontà storica mai nessuno riesce ad offrire un precedente a cui rifarsi), la cui precipua funzione è quella di trasferire fette di mercato ad una ristretta oligarchia finanziaria, senza che da ciò derivi alcun vantaggio per il sistema produttivo, per i lavoratori, per i cittadini.
Di fatto, non si tratterebbe altro che della fase 2 della oramai nota Operazione Britannia che prese avvio nel 1992 e che sotto il ministero Bersani, durante la scorsa legislatura, era ripartita.
Col pretesto della crisi finanziaria e di un'economia da rilanciare, la principale associazione imprenditoriale italiana, tenta di rimettere al centro del dibattito politico il tema delle liberalizzazioni, di modo da poter conquistare nuovi asset nel mercato italiano. E Mario Draghi gli fa da cassa di risonanza. E' da ricordare allora un recente dato fornito dalla Fondazione Mattei che precisa che l'ammontare del ricavato di tutte le privatizzazioni mondiali dal 1970 ad oggi (1500 miliardi di dollari), nel solo ultimo anno di crac finanziario, è stato superato per oltre 4 volte dai salvataggi pubblici, tanto è strutturalmente debole il processo che esse mettono in moto. E allora ha ragione il ministro Tremonti quando dice che i banchieri non possono farsi le regole da soli!
“La testa di ponte te la creo con il taxi!”
Sono due i fronti su cui le oligarchie lavorano per mettere al tappeto i piccoli imprenditori del settore taxi. Da un lato, grazie alla collaborazione delle amministrazioni locali amiche, si fa sì che la legge quadro 21/92 non venga applicata nei confronti dei noleggi con conducente (n.c.c.) irregolari, laddove essa, ispirata al principio di territorialità, prevede che gli n.c.c. debbano sostare nella propria autorimessa con sede nel comune autorizzante (art. 3) invece che in piazze o strade prossime agli alberghi dei centri più importanti, e che l'inizio del servizio debba cominciare con partenza dal territorio che ha rilasciato l'autorizzazione (art. 11); dall'altro lato si sta agendo sul fronte fiscale.
A Firenze per esempio – che è una delle città d'avanguardia del tassismo italiano – si sta attuando una vera e propria opera di persecuzione fiscale, con accertamenti a tappeto. Nonostante le dichiarazioni fiscali dei tassisti risultino quasi sempre congrue e coerenti, l'agenzia delle entrate sanziona sistematicamente questi contribuenti, superando ogni logica possibilità di redditività aziendale. Dall'attività accertante, per esempio risulterebbero ritorni di oltre 2 euro per ogni km effettuato per l'anno fiscale 2005, facendo così risultare il chilometraggio complessivo sempre a vettura carica (con sopra il cliente cioè) e senza alcuna destinazione ad uso privato del mezzo. Il chilometraggio medio per corsa, secondo l'agenzia sarebbe di 3,2 km, comportando così un quantitativo corse nell'arco della giornata quanto meno improbabile, senza considerare appunto il ritorno a vuoto al posteggio, ed ipotizzandosi come sistematico, invece, quello che in gergo si chiama il “rimpallo” (l'acquisizione di una nuova corsa dal punto presso cui si è lasciato l'utente dell'ultima corsa effettuata). Gli accertamenti poi prevedono che circa i 2/3 delle corse effettuate sarebbero acquisite tramite radio (il che comporta il sovrapprezzo della chiamata) e con il supplemento bagaglio.
Vista la velocità con cui sta procedendo agli accertamenti l'agenzia, e vista l'entità degli imponibili determinati, questo genere di vera e propria persecuzione fiscale risulta essere funzionale alla distruzione di un intero settore. A tali ritmi, nel giro di un quinquennio saranno i tassisti stessi a richiedere l'entrata di grossi players nel settore (oggi vietata dalla legge), a cui poter “regalare” le proprie licenze. Così anche in questo settore, come già per esempio avvenuto nel commercio, alla attuale iperatomizzazione dove fanno da protagonisti il piccolo imprenditore artigiano e la mutualità cooperativistica, si verrebbe a sostituire un oligopolio tutto centrato su società di capitali che sfruttano il lavoro a basso costo, fanno cartello sui prezzi, producono un servizio inefficiente.
Ma l'assedio che viene avanzato contro questa categoria di lavoratori, non ha rilevanza fine a sé stessa, ma viene a rappresentare il grilletto grazie a cui avviare con effetto domino, la liberalizzazione di tutti i servizi pubblici locali, di modo da consentire a banche e grossi imprenditori di potersi impossessare di interi settori, come fatto durante gli anni '90 con le redditizie banche ed assicurazioni pubbliche, con l'industria siderurgica, energetica, telefonica, con le autostrade, senza che si sia assistito negli anni ad alcun miglioramento di quei settori industriali, quanto piuttosto alla loro finanziarizzazione a tutto discapito della qualità del prodotto o servizio erogato, delle condizioni di lavoro dei collaboratori, e del costo di fruizione finale per gli utenti.
E' in atto allora una vera e propria guerra tra chi vuol riportare il mondo verso l'idea delle Repubbliche sovrane centrate su produzione e lavoro al fine del miglioramento delle condizioni di vita di tutti i cittadini, e chi invece porta avanti il proprio grande gioco del “Monopoli” oligarchico dove la speculazione finanziaria possa crescere sfruttando gli asset dell'economia reale che un branco di “sudditi” deve tenere in piedi in un'ottica di progressiva austerità.
Claudio Giudici
Uritaxi - Firenze
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Taxi: un’altra vittima del ‘libero’ mercato
Nonostante i mass media abbiano condotto un’incessante campagna per convincerci che il servizio taxi in Italia sia caro ed inefficiente, uno sguardo attento allo studio di BankItalia sui taxi nel mondo, mostra in modo chiaro come i taxi italiani siano tra i meno cari d’Europa. Allora perché tutta questa insistenza sulla liberalizzazione di un servizio che riguarda solo una ridottissima percentuale della popolazione, e che è utilizzato prevalentemente per motivi di lavoro e da benestanti turisti?
La realtà è che il piano di liberalizzazioni punta a fare entrare i grandi capitali nel settore, così come in tutti i settori del servizio pubblico. Si tratta di torte ghiottissime per chi già ha potuto disossare altre aziende pubbliche (Telecom Italia e Autostrade dicono niente?). Grandi guadagni per gli oligarchi, nessun vantaggio per gli utenti.
Lo stesso modello di deregulation, giustificato con l’idea che il ‘libero mercato’ è sempre il sistema più efficiente, è stato sperimentato negli Stati Uniti per i settori delle ferrovie, il trasporto aereo e i prezzi dell’energia elettrica. Il risultato? Numerose società in bancarotta, un sistema ferroviario praticamente scomparso, e prezzi energetici alle stelle.
Lo stesso succederà in Italia se si seguirà un modello che punta a fare risparmiare qualche euro ai consumatori, ma a scapito di garantire un servizio pubblico regolamentato e basato su una società di produttori con un tenore di vita dignitoso.
Dalla tabella risulta che a Bruxelles i taxi costano il 39% ed il 65% in più rispetto a Milano e Roma, e a Londra il 13% ed il 34% in più.
Per la Banca d’Italia, i taxi italiani sono tra i meno cari d’Europa.
Prezzo di una corsa in taxi di 5 km nell’area urbana in alcune città europee ed extra-europee nel 2003[1].
Bruxelles 12,16 euro
Amsterdam 11,75 euro
Copenhagen 11,46 euro
Berlino 9,95 euro
Londra 9,87 euro
Stoccolma 9,78 euro
Praga 9,39 euro
Milano 8,75 euro
Barcellona 8,43 euro
Roma 7,36 euro
New York 7,24 euro
Parigi 7,24 euro
Auckland 6,6 euro
Dublino 4,3 euro
Olanda, Svezia ed Irlanda hanno visto liberalizzato il servizio taxi tra il 1989 ed il 2002. In Olanda vi è stata la liberalizzazione dei prezzi ma nonostante ciò i taxi costano ad Amsterdam il 59,6% in più rispetto a Roma.
In Italia si punta ad aumentare il numero delle licenze – come in Irlanda – ma non a diminuire i prezzi. Quindi il risultato sarà un aumento massiccio delle macchine in circolazione a tutto vantaggio delle grandi società che il Governo intende fare entrare nel settore. Fino ad oggi la legge vietava sia il cumulo delle licenze sia il controllo delle stesse da parte di società. Abrogare questo divieto significherebbe diminuire le regole e la sicurezza costringendo i tassisti ad aumentare gli orari di lavoro (come accade già con gli n.c.c.).
Vogliamo ripetere l’esperienza del primo decreto Bersani sulla liberalizzazione del commercio (d. lgs. 114/98)? Si diceva che servisse per agevolare l’apertura di attività a tutti, ed una più ampia distribuzione dei
prodotti sul territorio. Il risultato è stato la moria delle piccole attività (i fondi vengono trasformati in mono e bilocali) a tutto vantaggio della grande distribuzione. Chi lavorava ha perso il lavoro ed i prezzi non sono certo diminuiti!
La nostra proposta è che si abbandoni l'ideologica politica delle liberalizzazioni e si apra un bilancio in conto capitale con cui finanziare l'allargamento delle reti di trasporto pubblico metropolitano, assieme a tutte le altre opere infrastrutturali di cui il Paese ha urgente bisogno. Si tratta di attuare una svolta rooseveltiana – come indicata dal leader democratico americano Lyndon LaRouche – in cui i nostri rappresentanti politici e di governo abbiano il coraggio di mettere in discussione i diktat della grande finanza internazionale che si esprimono nella politica dei tagli al bilancio imposta dal Patto di Stabilità. Gli investimenti nelle infrastrutture – garanzia per la crescita futura – vanno considerati indispensabili perché diretti a incrementare il bene comune. O si attua questo cambiamento o l'Italia e l'Europa tutta sprofonderanno nell'ingovernabilità!
Monaco - 310 - 90
Milano - 182 - 75
Roma - 1285 - 38
Barcellona - 100 - 102
Se si vuole veramente migliorare la vivibilità delle nostre città, si deve potenziare il sistema metropolitano – questo sì veramente deficitario a cospetto delle altre città europee!
[1] Occasional Paper di Febbraio 2007, n. 5.
http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/quest_ecofin/QEF_5.pdf
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Il Venerdì di Repubblica del 27 marzo scorso, titola un servizio riguardante taxi ed n.c.c. “Autoscontro: nella guerra tassisti-noleggiatori, chi rischia di perdere è il cliente”. Con clamorosi errori tecnici, il servizio ricostruisce subdolamente la situazione calda creatasi nel settore del trasporto pubblico locale non di linea, come uno scontro tra tassisti e noleggiatori, piuttosto che come invece esso realmente si presenta, tra tassisti e noleggiatori regolari da una parte ed irregolari dall'altra.
Negli ultimi anni si è assistito sul territorio nazionale ad un fenomeno di progressiva “liberalizzazione di fatto” del settore del trasporto pubblico locale non di linea (taxi ed n.c.c.). Il sensato principio per cui le amministrazioni dovrebbero emettere licenze taxi ed autorizzazioni n.c.c. in funzione delle reali esigenze locali date dai flussi turistici, dagli snodi viari, dalle presenze di strutture aeroportuali, ferroviarie, ospedaliere, alberghiere, congressiste, sportive ed ovviamente dalla richiesta cittadina, è stato di fatto superato e sostituito dall'indiscriminatezza autorizzativa che ha dato avvio ad una dinamica iperconcorrenziale maturata in violazioni di legge e sfruttamento del lavoro a basso costo.
I piccoli comuni – il caso più eclatante è quello di Francavilla al Mare – inondano il mercato di vetture dedite al trasporto pubblico non di linea (quasi esclusivamente n.c.c.) senza alcuna reale necessità. Di fatto essendo impossibile la sostenibilità economica dell'attività in assenza di una corrispondente domanda di servizio, i beneficiari delle nuove autorizzazioni n.c.c. si trasferiscono nelle piazze turistiche più importarti (Roma, Milano, Firenze, Napoli, Bologna, ecc.) violando la normativa che stabilisce 1) che il servizio n.c.c. lo si acquisisce presso la propria autorimessa (pur potendo prelevare fisicamente il cliente in altro comune), e 2) che il mezzo deve sostare presso di essa e non su piazza. Ecco così creati gli n.c.c. irregolari.
Così, ora che la crisi finanziaria ha colpito pure questo settore, taxi e n.c.c. regolari, per veder tutelata la legalità, vanno costituendo un fronte comune contro gli irregolari.
Per rendere più difficile l'attività di controllo da parte degli organi preposti, le amministrazioni hanno tolto i riferimenti normativi della legge quadro 21/92 (in particolare l'art. 3 che prevede la sosta dell'n.c.c. presso l'autorimessa). Ingenui o corrotti che siano, gli amministratori locali che si fanno promotori di iniziative di tal genere, divengono complici della creazione di questo mercato irregolare fatto di violazioni di legge, di truffe all'utenza, di cattiva pubblicità all'economia nazionale. Questi amministratori di piccoli comuni giustificano il loro irresponsabile comportamento asserendo di aver così creato nuovi posti di lavoro – una riedizione dell'incompetente prassi che negli anni '70 ed '80, in presenza di disoccupati, portò alla creazione di posti di lavoro non necessari presso la pubblica amministrazione – , e di aver così colmato eventuali carenze di offerta di servizio nelle città più importanti – finendo così col legittimare eventuali resistenze dei tassisti e dei noleggiatori locali a veder concesse nuove licenze od autorizzazioni. A ciò si aggiungono poi forme di clientelismo, mascherate da bandi di concorso a cui viene data pubblicità pressochè inesistente. A questo proposito, un ultimissimo caso è quello del comune di Scandicci, che dopo aver proposto alle parti sociali un aumento delle autorizzazioni n.c.c. da 12 a 20, con dunque un aumento di 8 unità (circa del 70% in più), trovatosi di fronte agli sconfortanti dati economici della sua realtà locale messi sul tavolo dai sindacati, ha rivisto quella iniziale volontà, portando l'aumento a sole 2 unità (rivedendo dunque dell'80% la originaria intenzione!).
Così il caos che sta verificandosi nel settore del trasporto pubblico locale non di linea (taxi ed n.c.c.) è il frutto di un preciso atto d'irresponsabilità politica e morale su cui ha trovato perno l'ideologia liberista, ossia quella barbara idea per cui una realtà abbandonata ad una teorica libertà (e ad una concreta legge della giungla, del più scorretto, del più agganciato, del più finanziariamente forte) sarebbe meglio regolata rispetto a quella su cui si agisse attraverso precisi atti di volontà volti ad armonizzarla nei modi più giusti.
Ma se tutto ciò ci racconta il livello più superficiale di tutta la faccenda, una strategia di più ampio respiro pare interessare attori ben più importanti. Infatti, questa caotica situazione, fatta di lotte per la legalità tra tassisti ed n.c.c. regolari da una parte, ed irregolari dall'altra, alla cui gara lo sparo di via è stato dato, come già detto, da irresponsabili amministratori locali, finisce col creare il terreno fertile affinchè grossi players economico-finanziari possano entrare in un settore a prevalente presenza, ancor oggi, di piccola imprenditoria. Non è infatti un caso che la versione originaria del progetto di liberalizzazione Bersani del settore, prevedesse l'eliminazione del divieto del cumulo di licenze e del divieto di intestazione delle licenze a persone giuridiche; provvedimenti ovviamente funzionali all'entrata nel settore di grossi operatori finanziari. Ed altrettanto non è un caso che il disegno di legge Aracri consentisse di far venir meno il principio della territorialità degli n.c.c. riconoscendogli la possibilità di costituire sedi secondarie su tutto il territorio nazionale (a tutto vantaggio dei grossi gruppi). Come dire che un giorno sì e l'altro pure, i grossi gruppi, attraverso i loro alfieri in Parlamento, provano ad entrare anche in questo mercato. Ecco che non trovando ancora il terreno fertile per lo stravolgimento del settore, una diretta od indiretta man forte, gli arriva dall'orgia di provvedimenti autorizzativi di n.c.c. da parte dei piccoli comuni, le cui decisioni restano spesso nell'ombra. L'esasperazione della concorrenza, porta infatti alla costante riduzione della sostenibilità economica dell'attività dei piccoli imprenditori protagonisti del settore, finendo così per ridurre la loro resistenza ai tentativi di subentro da parte dei grossi oligopolisti, che farebbero razzia di licenze taxi e di autorizzazioni n.c.c.
Le dinamiche tipiche del bluff delle liberalizzazioni – visto che una liberalizzazione di fatto si sta avendo – sono già in corso: nella prima fase i prezzi di fruizione tendono a scendere, perchè i nuovi arrivati per sbarcare il lunario sono disposti a stare sul mercato a condizioni economiche che poi dopo poco tempo risultano essere insostenibili; nella seconda fase gli operatori provano a resistere alla tentazione di adeguarsi ai nuovi insostenibili prezzi, ma col prolungarsi di questa fase, anch'essi tendono a seguire il nuovo corso; nella terza fase, quando l'insostenibilità economica diviene evidente, cominciano a sparire gli operatori più deboli ed ecco allora che i grossi gruppi possono acquistare a prezzi di saldo, fare oligopolio, e dunque imporre nuovi prezzi e tariffe, solitamente più elevati rispetto a quelli presenti nel precedente corso.
Firenze, 29 marzo 2008.
Claudio Giudici
Uritaxi Toscana
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Gli autotrasportatori ed i tassisti cacciano Alice dal paese delle meraviglie
In risposta a “Le leggi dell’economia non usano il taxi” ed al falso dibattito sullo sciopero degli autotrasportatori e le cosidette liberalizzazioni.
L’articolo di Mario Seminerio apparso su Epistemes.org e Libero Mercato, Le leggi dell’economia non usano il taxi, che prende spunto da una lettera che gli perviene da un lettore, referenzia come il pensiero del liberismo economico concepisca l’economia come un sistema cartesiano chiuso, ossia una superficie piana da tirare un po’ in tutte le direzioni. Si tratta di un sottomodello mal funzionante, perché non tiene conto del limite fisico intrinseco oltre il quale si verifica quel fenomeno che in fisica si chiama singolarità (punto di rottura, cambiamento di fase). Ci sono alcuni esempi a cui possiamo indirizzare il nostro pensiero per comprendere questo fenomeno. La questione è di centrale rilievo epistemologico. Nel campo della fisica, si pensi a cosa avviene quando un jet raggiunge la velocità del suono: mantenere tale velocità troppo a lungo gli procurerebbe gravi danni a causa delle forti sollecitazioni che si vengono a creare; il rapido passaggio a velocità superiori permette invece di evitare questi danni ed immette il jet in un nuovo dominio di relazioni aerodinamiche. Da un sistema si è passati ad un altro. Il Menone di Platone ci lascia un insegnamento esemplare dal punto di vista dei principi che ispirano la conoscenza (epistemologia) con la costruzione geometrica che propone per la duplicazione della superficie del quadrato; per ottenere la superficie doppia del quadrato x (dunque 2x) Platone dimostra che si deve effettuare un cambio di fase, ossia, nel caso in specie, non incastrarsi con tentativi di semplice estensione (estendere in altezza o lunghezza la superficie del quadrato, come farebbero i liberisti), quanto piuttosto – ed ecco il cambio di fase – procedere entrando in una nuova dimensione con la rotazione della diagonale. Il principio che ne deriva è che si apportano cambiamenti determinanti operando sul livello superiore al livello analizzato. Quegli esempi ci rendono l’idea di come funzionino i processi fisici. Ora, c’è da chiedersi se l’economia sia un qualcosa che fuoriesce dalla scienza fisica, oppure se ne sia parte integrante. Sul fatto che pure l’economia sia sottoposta a delle leggi, lo sostengono pure i liberisti. Ma a quali leggi essi si riferiscono? Trattasi di leggi di natura (fisiche) oppure di leggi arbitrarie (e dunque non leggi, ma opinioni che hanno la stessa validità dell’opinione esattamente contraria)? I liberisti ci parlano di legge della domanda e dell’offerta. Funziona questa legge? Vi sono intere popolazioni che domandano medicinali per la cura dell’aids, ma l’offerta in tal senso non arriva. Vi sono popolazioni che chiedono infrastrutture di base come sistemi idrici, elettrici, di trasporto, sanitari, educativi, ma di offerta in tal senso non ne arriva. Ma allora, quando funziona tale legge della domanda e dell’offerta se non è capace di soddisfare neanche i bisogni primari delle persone? Quando è efficace in termini di profitto. E’ ovvio che questa legge ha alla sua base un problema di natura epistemologico – del principio che la ispira cioè. Il paradigma fondante di questa legge è frutto di una tale depravazione morale, da non poter essere seriamente presa in considerazione. I liberisti quando trattano dell’economia non fanno della scienza ma della semplice statistica. La statistica può funzionare fino ad un certo punto, può fungere da termometro, ma non può rappresentare l’unico metro di valutazione di un fenomeno. Sarebbe come se rimettessimo il giudizio sullo stato di salute di un paziente, alla semplice misurazione della temperatura corporea e valutassimo come obbligatoriamente in salute colui che pur avendo pressione alta, globuli sbalzati, sangue nelle feci, avesse però una temperatura sotto i 37°. D’altra parte una dimostrazione di come poco affidabile sia la statistica che si cela dietro ogni algoritmo che ispira quella che è l’applicazione estrema delle derivazioni del pensiero liberista – il trading finanziario – ce la dettero nel ’98 i due premi Nobel, Robert Merton e Myron Scholes, che a quel tempo guidavano, portandolo al fallimento, il fondo speculativo Long Term Capital Management. Questi modelli, infatti, seguono logiche di tipo lineare. La realtà fisica – e tutto ciò che fa parte della natura fa parte della realtà fisica – non procede però secondo logiche lineari. Ad un certo punto l’acqua comincia a bollire: ecco la rottura della linearità, il cambiamento di fase. Quello che deve fare l’uomo in economia è produrre il cambiamento di fase affinché si passi da una realtà ad una di tipo superiore. Ora, torniamo alla riflessione di Seminerio. La riflessione di Seminerio – probabilmente perché vittima di una certa superbia che domina nella cosiddetta classe intellettuale (versione moderna delle antica casta sacerdotale, il cui vizio formalista è tutt’oggi presente) – si dimostra meno consapevole del lettore (tassista? come si chiede Seminerio) che gli scrive. Il lettore è consapevole di un fatto che invece sfugge a Seminerio. Questo fatto è che in tutte le cose vi è un limite fisico intrinseco, oltre il quale non si può andare, e dove un cambiamento determinante non è possibile restando su quel livello di analisi. L’autore della lettera sa che in un’ora il tassista non può fare più di 3-4 corse. Non ha alcun appeal per lui il fatto che possa aumentare l’utenza che fruisca del servizio taxi in presenza di una riduzione della tariffa della corsa – come ipotizza ed auspica Seminerio – perché in ogni caso lui non potrebbe fare più di quelle 3-4 corse. A quel punto, però, le 3-4 corse che prima gli remuneravano ipotetiche 20 euro, ora andrebbero a remunerargli di meno. A ciò si aggiunga il fatto che invece i costi d’esercizio sono costantemente in crescita (costo auto, assicurazione, bollo, benzina, tasse, aumento del costo generale della vita). L’autore della lettera conosce la realtà e su essa ragiona, Seminerio, invece, fa dell’accademia. Per gli stessi motivi non si riesce a ridare stabilità finanziaria al nostro Paese ed all’economia occidentale. Le autorità economiche-finanziarie e politiche continuano a concentrare la loro attenzione sul livello finanziario con i tagli e la “razionalizzazione” della spesa, piuttosto che su quello superiore dell’economia fisica con un’azione d’impatto per l’arricchimento del tessuto infrastrutturale e della produttività. Questi parlano di “paese bloccato”. Questa è la nuova parola d’ordine, e la soluzione starebbe nelle liberalizzazioni. Ma questo non può funzionare perché la realtà fisica non funziona così. Si illudono che l’approntare azioni sullo stesso livello su cui vogliono vedere i risultati – quello finanziario – possa funzionare. Povera Alice! In merito agli autotrasportatori Seminerio afferma: [Con tariffe libere gli autotrasportatori-padroncini] la finirebbero di tenere sotto ricatto un intero paese al solo scopo di mantenere invariato il proprio reddito nel tentativo di recuperare le maggiori voci di costo, ed il paese ne guadagnerebbe in salute: quella dei camionisti stressati dal dover rispettare i tempi di consegna, e quelli degli automobilisti che viaggiano fianco a fianco degli autotreni. A Seminerio, com’è tipico dei formalisti, sfugge la visione dell’intero processo, e guarda caso questa disattenzione è utile alle oligarchie e lesiva della dignità dei lavoratori. Oggi, mantenere il livello di reddito recuperando almeno “le maggiori voci di costo” – strano? – vuol dire continuare ad avere diritto alla sussistenza e non alla bella vita. Stando alla sostanza della realtà odierna, affermazioni come quella sopra, rappresentano un attentato al principio costituzionale della dignità del lavoro e più in generale del “diritto ad una esistenza libera e dignitosa” come recita l’art. 36 della Costituzione. I “padroncini” se oggi sono in grado di mettere in ginocchio un Paese, è perché i Governi non hanno fatto politica strategica, ma hanno piuttosto lasciato il mercato libero di decidere come meglio svilupparsi. Questo sviluppo libero, alla stessa stregua di un terreno incolto, ha finito col produrre molte erbacce. Il mercato non ha trovato convenienza a diversificare la rete di trasporto ed anzi gli interventi statali sono stati solo ossequiosi a chi chiedeva lo sviluppo del trasporto esclusivamente su gomma. Così, oggi, quegli autotrasportatori hanno una funzione sociale così importante da non poter non essere riconosciuta dall’ingordigia dei grandi speculatori che vogliono tenere bassi i costi del lavoro. Eppure l’accademia a cui si ispira Seminerio, trova già in uno dei suoi padri fondatori – David Ricardo – l’emblema della fallacia della teoria liberista. Ricardo, infatti, sostiene che la legge del libero mercato funzioni soltanto in presenza di due circostanze: la piena convertibilità aurea della moneta circolante e la chiusura del sistema analizzato. Pura accademia appunto, e non tanto per la prima condizione – la quale potrebbe anche essere realizzata ma con risvolti inevitabilmente malthusiani – quanto per la seconda, la quale è impossibile da realizzare almeno che non si immagini per il pianeta l’esistenza di un unico mercato, di un’unica autorità monetaria, di un unico governo mondiale. Dunque, quando i liberisti fanno i liberisti duri e puri, sanno di cosa parlano? Il paradosso è che il loro non sapere, risulta assai utile alle oligarchie finanziarie che dei processi liberisti si avvantaggiano. La soluzione ai problemi di qualunque sistema, non è il liberismo, che anzi ha storicamente dimostrato di non essere performante ai fini del bene comune – questo è il fine della Repubblica – , ma utile solo alla formazione di oligopoli. E a ciò porta il restare sul livello, per riprendere l’esempio di Platone, della estensione lineare. Una soluzione autentica, invece, passa per lo sviluppo tecnologico-infrastrutturale del livello di base di quel sistema (ed eccoci dunque spostati sul livello superiore, della rotazione della diagonale nell’esempio di Platone). In pratica, se non si aumenta la qualità tecnologica delle infrastrutture, di modo da consentire una più efficiente viabilità (metropolitane, ricorso ad una seria limitazione del traffico nei centri cittadini, aumento dei bus navetta, strade costantemente e velocemente manutenute, aumento delle corsie preferenziali proprio come suggerito dal lettore che scrive a Seminerio) nessun aumento delle licenze sarà utile al cittadino, sia utente e sia lavoratore – esatto Seminerio, anche lavoratore, visto che di esso si deve tenere conto nel momento in cui la nostra Costituzione (artt. 1, 3 e 4) su di lui si regge! Sarà il caso di tenerne conto in un’epoca in cui si è progressivamente accelerata la distruzione della capacità d’acquisto reale dei lavoratori? Sia ben chiaro, che qui non si è contro il mercato e la libertà organizzativa dell’imprenditoria, quanto piuttosto contro l’idea che il “libero” mercato sia da sé capace di disporre le risorse nel miglior modo possibile. Il “libero” mercato, per esempio, non trova convenienza a sviluppare una linea ferroviaria, una infrastruttura elettrica, idrica o del gas per Borgo Piccino. Ma senza andare troppo in là con la fantasia, il libero mercato trova conveniente l’assunzione di ausiliari del traffico, i quali sono finanziariamente redditizi, ma non trova conveniente l’assunzione di nuove forze di polizia, oppure più semplicemente evitare che questi debbano saltare le ronde notturne per mancanza di carburante, oppure evitare che questi utilizzino la cancelleria della banca vicina per assenza di fondi da destinare a tale materiale. In questo secondo caso, infatti, la “redditività” è misurabile solo in termini di ritorno sociale – che è un arricchimento dell’economia fisica. Il paradosso che si viene ad avere è che si possono perseguire indisciplinati autisti, ma non la criminalità organizzata (qui l’attività non si autofinanzia, ma finanziariamente, nell’immediato, è solo un costo). Si capirà bene che alla base di questi paradossi vi è Maastricht ed il suo patto di stabilità. Dunque, qui si sostiene piuttosto l’idea fatta propria dal nostro Costituente, per cui l’iniziativa economica debba avere una funzione sociale e che a tale fine la Repubblica deve intervenire. E rifacendosi ancora al caso di cronaca del lavoro più recente e clamoroso, quello del fermo degli autotrasportatori, il libero mercato con il suo alfiere delladeregulation ha fatto sì che si dequalificasse il lavoro dell’autotrasporto ricorrendo a manodopera a basso costo, e che poi ci si scandalizzasse se gli autotrasportatori italiani, attanagliati da una parte dall’aumento dei costi di esercizio, e dall’altra dalla concorrenza a bassa tutela sociale dei lavoratori stranieri, procedessero con un fermo volto a richiamare l’attenzione sul fatto che il principio della dignità del lavoro (art. 36 Cost.) fosse di fatto leso, non essendo più l’attività svolta esercitatile a condizioni qualitative e quantitative dignitose, e non consentendo più una dignitosa remunerazione per sé e la propria famiglia, come, appunto, costituzionalmente richiesto. Ma visto che vogliamo utilizzare queste cosiddette leggi dell’economia per taxi ed autotrasporto, che leggi abbiamo dimostrato non essere, mi chiedo se queste leggi valgano anche per il sistema bancario. Da fine luglio, ossia dallo scoppio della crisi dei mutui subprime le banche centrali del mondo occidentale si sono prodigate in continue immissioni di liquidità, non per la conclusione di infrastrutture o per salvare fabbriche e posti di lavoro, ma per salvare la piramide speculativa di carta creata negli ultimi decenni dalla comunità finanziaria. L’obiettivo della Repubblica deve essere quello di perseguire il Bene Comune. Per fare questo in modo efficace e costante esiste un solo autentico metodo, che è quello originale del Sistema americano di economia politica, così come fondato fin dal 1789 da Alexander Hamilton e ribadito nella sua efficacia da Franklin D. Roosevelt e John F. Kennedy, in opposizione al modello liberista dell’Impero britannico. Esso passa per continue rivoluzioni scientifiche nel campo delle infrastrutture e dell’industria, da lanciare facendo ricorso in modo dirigistico al credito pubblico, così come previsto dalla Costituzione americana (art. 1 sezione 8). Questo, dunque, non è un modello di stampo stalinista, ma piuttosto l’autentico modello a cui gli Stati Uniti hanno fatto ricorso per almeno quattro volte in modo rivoluzionario (presidenze Washington, Lincoln, F. Roosevelt, Kennedy). Questo sistema ovviamente mette in profondo stato d’accusa il modello liberista a cui si ispira il Trattato di Maastricht e può oggi essere riproposto solo in seguito alla necessaria ricostituzione di un equo sistema monetario internazionale a cambi fissi, ed il congelamento dei debiti pubblici degli Stati che non possono essere ripagati chiedendo disastrosi sacrifici alle popolazioni, ma rilanciando in modo dirigistico le politiche industriali. Perché non chiedere ai creditori – esclusivamente banche private – di pazientare il tempo necessario per rilanciare l’economia produttiva di un’economia globale in piena crisi da ubriacatura speculativa liberista? Alice esca dal paese delle meraviglie.
Taxi: i giochini di Bankitalia, dell'Ansa e Rutelli per creare un monopolio privato
“ … quelle repubbliche dove si è mantenuto il vivere politico ed incorrotto, non sopportono che alcuno loro cittadino né sia né viva a uso di gentiluomo, anzi mantengono intra loro una pari equalità, ed a quelli signori e gentiluomini che sono in quella provincia sono inimicissimi, e se per caso alcuni pervengono loro nelle mani, come principii di corruttele e cagione d'ogni scandolo, gli ammazzono. E per chiarire questo nome di gentiluomini quale e' sia, dico che gentiluomini sono chiamati quelli che oziosi vivono delle rendite delle loro possessioni abbondantemente, sanza avere cura alcuna o di coltivazione o di altra necessaria fatica a vivere. Questi tali sono perniziosi in ogni republica ed in ogni provincia; ma più perniziosi sono quelli che oltre alle predette fortune comandano a castella, ed hanno sudditi che ubbidiscono a loro.”
Dunque per Machiavelli la rendita è un fenomeno dove la redditività è svincolata dal lavoro. Si tratta allora di un fenomeno tipico dei grossi gruppi societari, ma più in generale della rendita immobiliare e di quella finanziaria (tutti fenomeni che, durante gli anni '90. mentre si invocavano le liberalizzazioni come strumento di democrazia, venivano avvantaggiati da legislazioni di favore).
Il paradosso è che oggi, come fa Di Pietro con l'affermazione di cui sopra, si parla di rendita in merito a soggetti che vedono derivare la propria redditività economica dal lavoro: tassisti, farmacisti, liberi professionisti, ambulanti. Fra l'altro, lo stesso accostamento dell'una con l'altra categoria di lavoratori appare ridicolo, ma comunque legato dall'aspetto per cui si tratta di mercati regolamentati – proprio come nelle intenzioni del Costituente – e non rimessi all'arbitrio ed alle voglie del mercato. Ed invece, di questa fantomatica rendita di posizione, non se ne sente parlare in merito a quei settori che paradossalmente sono oggi strutturati come monopolio od oligopolio (cosa che non vale per tassisti, farmacisti, liberi professionisti, o il piccolo commercio, dove ogni operatore rappresenta sé stesso e controlla solo il suo lavoro e non l'intero settore), conseguentemente a quei processi di liberalizzazione e privatizzazione che avrebbero dovuto portare a maggiore concorrenza. Si pensi agli aeroporti, alle stazioni ed alle autostrade, messi in mano a singoli operatori che per forza di cose monopolizzano intere aree (non può verosimilmente esserci nella medesima città un numero tale di aeroporti, da potersi parlare di concorrenza) sfruttando – paradosso per paradosso – infrastrutture create nei decenni grazie ai contributi dei cittadini. Sarà possibile a chiunque rilevare come una bottiglietta d'acqua da 75 ml costi 2 euro all'Aeroporto di Firenze, ed una da 50 ml costi 1 euro e 10 centesimi alla stazione di Santa Maria Novella, ecc. ecc. Tutte realtà di monopolio naturale controllate oggi da privati, dove, vista la mancanza di alternative per l'utenza, i prezzi di vendita dovrebbero essere controllati e non spiccare per l'eccessiva onerosità. Oppure ancora, come i bagni presso queste infrastrutture, invece che essere civile strumento per la soddisfazione di esigenze primarie, siano fonte di ricavo (1 euro alla stazione di Napoli!). Oppure ancora, come manchino le sale d'aspetto (perchè non remunerative …). Un panino prodotto in serie, ai privatizzati Autrogrill delle privatizzate Autostrade, può arrivare a costare 4 euro; un prezzo che si può pagare alla gastronomia dietro Piazza della Signoria per un panino di qualità fatto sul momento. Per l'Informatore della Coop, e per gli apologeti delle liberalizzazioni – in quest'ultimo caso, dovevasi parlare di “prezzi stratosferici del negozietto che gode della rendita di posizione”.
Ma al supermercato, presso la grande catena commerciale, un apparente risparmio lo si ha. Va considerata la abituale pratica di maneggiare al ribasso la qualità dei prodotti (si pensi a quelli cerealicoli, per i rialzi subiti dalla materia prima conseguentemente alle speculazioni della finanza internazionale con le linee di credito concesse dal settore pubblico – !!! – : la pasta in particolare, per la quale, per mantenerne costante il prezzo di vendita, si cambia produttore, passando a quello di minor pregio) oppure, a contrari, si pensi alla maturata “nobile” sensibilità di vendere sacchetti biodegradabili (la cui capacità di sfondarsi è stata sperimentata da ogni consumatore), portandoli da 0,03 euro a 0,05 euro l'uno (un aumento di circa il 70% giustificato da sensibili istanze ambientaliste). Tuttavia, questo risparmio, ai fini di una complessiva politica economica nazionale è un qualcosa di apparente ed in ultima analisi, di anti-economico. Infatti, non siamo di fronte ad alcun risparmio, ma ad un vero e proprio processo redistributivo al contrario, ossia in favore degli operatori finanziariamente più forti. Infatti, il negozietto che vende generi alimentari, è solitamente una ditta individuale con un dipendente a cui riconoscere un trattamento economico tradizionale, con tanto di contributi, che un domani, da pensionato, potrà mantenere un certo tenore di vita (e dunque a sua volta essere un buon acquirente – o consumatore). Diversamente, presso il grosso gruppo commerciale, grazie alla liberalizzazione del mercato del lavoro operata tra la fine degli anni '90 ed i primi del 2000, il lavoratore dipendente avrà un trattamento economico ridotto, con contributi, versati dal datore, più esigui rispetto al passato. Questo lavoratore sarà a sua volta consumatore presso qualche altro grosso gruppo che vende a “buon mercato” od altro operatore, ma lo sarà con capacità d'acquisto ridotte, proprio perchè lui stesso è uno dei motivi determinanti (insieme a quello fiscale) per cui il gruppo di cui è dipendente riesce a vendere a prezzi ridotti rispetto al negozietto.
L'altro motivo determinante per cui il grosso gruppo, in potenza, può tenere più bassi i prezzi di vendita, è quello fiscale. Il moderno sistema fiscale, differentemente da quello che andò adottandosi durante la ricostruzione post-bellica, premia la rendita finanziaria e quella immobiliare, a dispetto dei redditi da lavoro. Così, tutto questo sul fronte della personalità giuridica dei soggetti agenti, si traduce con legislazioni di favore per le società di capitali e di sfavore per le persone fisiche. Una recente indagine del gruppo degli economisti di Stanford, ha rilevato come le grosse società paghino mediamente aliquote fiscali che si aggirano tra l'1 ed il 2%, grazie ai paradisi fiscali, ai sistemi di transfer pricing e ad altri metodi che di fatto legalizzano l'evasione fiscale. Si pensi anche alla diffusa pratica, nella cosiddetta società bene, di essere azionisti di qualche società off shore, che permette di far risultare nella dichiarazione dei redditi personale, la perdita di quella società, ma che in realtà fungono da copertura per l'intestazione di immobili, yacht, auto di lusso, beni di lusso, ecc. E' alla luce di tutto ciò che recentemente il Ministro dell'Economia Giulio Tremonti, ha richiesto in molteplici sedi internazionali, la messa al bando dei paradisi fiscali.
Quando molti politici ed osservatori economici, parlano di rendita di posizione, si riferiscono a processi dove il cosiddetto sovraprofitto è conseguenza di due elementi intrinseci della natura umana: lo spazio ed il tempo. Recentemente il Sindaco di Firenze, Matteo Renzi, ha superficialmente (e demagogicamente, anche se il far demagogia non gli è proprio) invitato le attività commerciali fiorentine ad abbassare i prezzi. Si pensi ad un bar in Piazza della Signoria a Firenze che offre un caffè al tavolo a 4,5 euro. Questo prezzo di vendita gli è consentito dalla posizione unica che questo può vantare. Tuttavia, il gestore, con quei 4,5 euro dovrà remunerare, più che i costi variabili di gestione, quelli fissi: il personale dipendente – ma in un sistema che funzioni, questo deve esser ben remunerato – , ma soprattutto il canone d'affitto del locale (o se il fondo è di proprietà, l'altissimo prezzo che egli avrà pagato per rilevarlo). La vera differenza tra oggi ed il passato, è che il locatore (il proprietario dell'immobile) è oggi, di fatto, socio di maggioranza o paritario con l'imprenditore che gestisce il locale, ma con una tassazione e con costi vivi assai più bassi. Tutto ciò, non vuol dire disconoscere il privilegio che il gestore del bar di piazza della Signoria ha rispetto ad attività di altre zone; ma il punto è che sarà pura demagogia la denuncia di eccessiva esosità di quel gestore. Un amministratore che realmente volesse rendere più a buon mercato i prodotti di quell'esercizio, dovrà combattere la rendita immobiliare che alle spalle di quell'attività si nutre.
A quest'ultimo proposito sono due i mezzi per farlo: agendo per via diretta sulla rendita immobiliare imponendo dei limiti di legge ai canoni di locazione (secondo il principio seguito con l'equo-canone); per via indiretta agendo sul fattore spazio-tempo, cioè sul sistema economico di base, ossia quello infrastrutturale.
Alla luce di quest'ultimo punto, l'esistenza di fenomeni sperequativi tra un'area ed un'altra, è dovuta all'assenza di una sostanziale armonia tra aree di una medesima regione geografica: disparità nella presenza di infrastrutture e/o di elementi di attrazione. Operando su questi ultimi si potrà avere il sorgere di elementi di “concorrenza” tra una zona e l'altra. Ma non è della “concorrenza” che ha bisogno un'economia ben funzionante, quanto di soluzioni al più alto livello di efficienza, in grado di ben assolvere ai bisogni della gente. Ed ovviamente operare sul livello delle infrastrutture significa aumentare la qualità delle stesse in modo tendenzialmente uniforme su tutto il territorio, di modo che esse fungano da volano per la spontanea nascita di nuovi poli attrattivi. Conseguentemente, è una politica di spesa pubblica per l'avanzamento tecnologico infrastrutturale, a generare ricchezza reale: non quella dei tagli alla spesa! Non è un caso che a livello internazionale le economie più ricche, dove più alta è la politica di investimenti pubblici pro-capite e per chilometro quadrato (Germania, Svizzera, Giappone ...), siano non quelle che offrono prezzi al consumo più bassi, ma quelle che hanno prezzi al consumo nominali più elevati, e redditi da lavoro nominali altrettanto elevati (non una politica del lavoro centrata sullo sfruttamento del lavoro a basso costo).
A Firenze, con la creazione del nuovo polo universitario e del nuovo palazzo di giustizia, abbiamo avuto la rivalutazione degli immobili presenti in quell'area. Purtroppo, in quell'area, non si è pensato anche ad implementare il sistema di viabilità; ciò ha reso meno efficienti quegli interventi urbanistici.
Interventi di questo genere, portano con sé i benefici del tempo, poiché consentono a chi agisce su quell'area, di adattarsi gradualmente al virtuoso mutare del sistema economico. Le “terapie d'urto” alla Jeffrey Sachs, o le “terapie shock” profetizzate da Walter Veltroni tra il 2006 ed il 2007, sono invece più che altro utili agli speculatori, grazie ai vantaggi offerti loro dalle asimmetrie informative (insider trading).
Processi simili possono essere attivati anche per gli altri settori: si pensi al settore dei taxi. Il luogocomune vuole che quelli italiani siano tra i più cari al mondo. Ogni studio competente ci dice invece che i taxi italiani sono tra i meno cari d'Europa, tuttavia ciò non vuol dire che questo servizio non possa essere reso più efficiente nel suo complesso (dal lato del lavoratore e da quello dell'utente). Si pensi così alla creazione di un efficiente sistema di viabilità, attraverso delle corsie preferenziali oppure attraverso la creazione di una metropolitana. Con la creazione della seconda, si rende più snella la mobilità di superficie, portando così ad una riduzione dei tempi medi di percorrenza dei tragitti dei mezzi di superficie e dunque di espletamento del servizio taxi e conseguentemente all'abbassamento del prezzo finale della corsa. Ulteriormente, ciò porterà ad un aumento dei fruitori di questo servizio e così si sarà messo in moto un processo virtuoso dove è attraverso lo sviluppo tecnologico che si sarà reso complessivamente più efficiente un settore economico nella sua relazione con la vita cittadina.
Dunque, è una frode parlare di rendita di posizione, quando le tesi sono funzionali a modificare il titolare di quella rendita, trasferendo attività od interi settori economici da un operatore all'altro. Diversamente, l'unico vero modo per combattere una posizione di vantaggio economico, passa, all'interno di un quadro legislativo ispirato a giustizia, attraverso un'azione governativo-amministrativa sul livello delle infrastrutture.
Claudio Giudici
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Cosap a Firenze: provando a battere ogni record!
Rileviamo dai giornali locali che il contributo per l'occupazione del suolo pubblico gravante sulle categorie commerciali e di pubblico servizio, subirà aumenti tra il 30% ed il 170%.
E' paradossale rilevare che in una fase di crisi economica come l'attuale, gli oneri gravanti sulle aziende – prevalentemente espressione della piccola impresa – vengano aumentati piuttosto che diminuiti. Se il Governo ha dato qualche aiuto al tessuto imprenditoriale, nonostante la gravosità del debito pubblico italiano, l'Amministrazione fiorentina pare intenzionata ad andare in tutt'altra direzione.
Nello specifico è interessante rilevare come la C.o.s.a.p. applicata a Firenze fosse già tra le più esose d'Italia.
La tabella sotto renderà chiara la situazione.
Banchetto di vendita di specialità tipiche non alimentari di dimensione 2 mq:
- Firenze (Piazza S. Maria Novella) 1.223,56 euro annui
- Torino (Piazza San Carlo) 689,12 euro annui
- Bologna (Piazza Maggiore) 429,52 euro annui
- Roma (Piazza Navona – Piazza del Popolo) 377,82 euro annui
- Napoli (Piazza del Plebiscito) 237,56 euro annui
- Milano (Piazza Duomo) 223,42 euro annui
- Siena (Piazza del Campo) 197,80 euro annui
- Padova (Piazza delle Erbe) 150,02 euro annui
- Venezia (Piazza San Marco) 111,82 euro annui
- Bari (Piazza del Ferrarese) 92,96 euro annui
- Palermo (Piazza Castelnuovo) 87,80 euro annui
- Venezia (Piazza San Marco) 2.186,06 euro annui
- Firenze (Piazza S. Maria Novella) 1.934,50 euro annui
- Bologna (Piazza Maggiore) 1.073,80 euro annui
- Roma (Piazza Navona) 1.062,63 euro annui
- Torino (Piazza San Carlo) 969,94 euro annui
- Padova (Piazza delle Erbe) 625,09 euro annui
- Napoli (Piazza del Plebiscito) 593,90 euro annui
- Milano (Piazza Duomo) 558,54 euro annui
- Siena (Piazza del Campo) 272,43 euro annui
- Bari (Piazza del Ferrarese) 232,41 euro annui
- Palermo (Piazza del Castelnuovo) 219,50 euro annui
Se questi sono i dati comparabili a livello nazionale, il punto non è allora quello per cui le categorie produttive devono avere il coraggio di dichiarare quanto guadagnano.
In merito al settore taxi, città come Milano, Roma e Torino non caricano questo servizio pubblico con oneri relativi all'occupazione del suolo pubblico. Per di più, posteggi come quello di via il Prato, via Pio Fedi, piazza Beccaria, via di Novoli, piazza delle Cure, piazzale Donatello, piazza Santa Maria Soprarno, via Calatafimi, le stazioni di Campo di Marte e Rifredi, piazza San Giovanni, piazza Pitti, piazza Giorgini, piazza Indipendenza, piazza della Libertà, piazzale Michelangelo, piazza Pier Vettori e piazza Starnina, sono sistematicamente occupati da mezzi non autorizzati.
Tuttavia, a parte le specificità del settore taxi, la valutazione di fondo resta quella fatta all'inizio: in una fase di contrazione della redditività economica sul fronte delle entrate, stringere la morsa aumentando i costi amministrativi di gestione d'impresa, è una scelta paradossale e profondamente sbagliata.
Ufficio Studi Uritaxi
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Viva la velocità! Tassisti ed utenti sono d'accordo.
Quanto incide il traffico sul costo del taxi?
Spesso gli amministratori locali si pongono di fronte alla primaria della questione della velocizzazione del servizio taxi come di fronte ad un'istanza di parte dei tassisti. In realtà, il traffico e la bassa velocità di espletamento del servizio rappresentano un danno anche per l'utente.
A titolo esemplificativo, svilupperemo un caso ipotetico.
Supponiamo di fare una corsa in taxi di circa 4 km (come potrebbe essere da piazza Starnina a piazza Santa Croce a Firenze). Questa corsa, se fatta ad una velocità media superiore ai 20 km/h ci consentirà di completare il servizio in 11 minuti ed avrà un costo di 6,9 euro.
Il medesimo costo lo avrà, nel rispetto del limite di velocità di 50 km/h, a seconda che ci mettiamo 5, 6, 7, 8, 9, 10 minuti. L'utente per ogni minuto in più di corsa non subirà aumenti di prezzo poiché la velocità si manterrà costantemente sopra i 20 km/h e dunque non scatterà la tariffa a tempo. Tuttavia questo rallentamento nella velocità comporterà un danno economico al tassista lavoratore, in quanto vedrà dei minuti del proprio lavoro come non remunerati. Se questo è un piccolo danno durante una corsa, sarà sempre meno piccolo a fine giornata lavorativa, a fine mese ed a fine anno.
Supponiamo poi di fare il medesimo percorso con traffico più intenso, tale da far scendere la velocità costantemente sotto i 20 km/h. In questo caso scatterà la tariffa a tempo e dunque il lavoro del tassista comincerà ad essere nuovamente retribuito. Sarebbe però fuorviante considerare un vantaggio economico l'avvio di questa fase tassametrica.
Il grafico sotto, relativamente al caso simulato, ci mostra il danno economico percentuale subito dal lavoratore, per ogni minuto in più perso per completare il servizio, rispetto agli ottimali 5 minuti di corsa, ai 6, 7, 8, 9, 10, ed 11 minuti (dai 5 agli 11 minuti abbiamo rilevato che il costo della corsa sarà sempre di 6,9 euro), ciascuno dei quali confrontati con minutaggi superiori fino ai 20 minuti.
Il grafico ci racconta che il danno economico subito dal lavoratore a causa del traffico andrà da un massimo del 54% ad un -2,66%. Quest'ultimo caso è riferibile all'ipotesi in cui la corsa durasse 12 minuti invece di 10 (per il percorso da 4 km); in questo caso infatti il tassista avrebbe ottenuto un vantaggio economico del 2,66% grazie al rallentamento del traffico. Come ben si capirà però, a parte questo sporadico caso limite, in tutti gli altri casi il traffico e dunque la bassa velocità di crociera, saranno un danno costante per il tassista lavoratore, rispetto al ricavo potenziale ottimale.
Tutte e 6 le linee spezzate ascendenti, ci mostrano infatti una costante fase di danno economico recato al lavoratore dalla bassa velocità di crociera.
Il traffico recherà ovviamente un danno anche all'utente (sia per il tempo perso, che per la maggior tariffa che si troverà a pagare).
Il grafico sotto ci mostra l'entità del danno subito dall'utente:
La linea ascendente ci mostra l'entità del danno percentuale subito dall'utente. In termini di costo, per il caso ipotizzato, il danno sarà nullo fino a sei minuti in più di durata della corsa; dai 7 minuti in su invece anche l'utente subirà un diretto danno economico.
A livello propositivo sarà allora necessario, per evitare questo genere di disagi, oltre ad un aumento dei percorsi dedicati a corsie preferenziali, che la politica della viabilità torni a fondarsi sulle strade a doppio senso di circolazione. Queste ultime sono sempre meno frequenti poiché i lati delle strade vengono utilizzati per ricavarne posti auto. Per invertire questo genere di tendenza è necessario allora che riprenda vigore la politica dell'infrastrutturazione arrestatasi circa quarant'anni fa, che non può prescindere dallo sfruttamento del sottosuolo, e che consentirebbe di ricavare posti auto sotterranei, liberando così superficie viabile e accorciando e velocizzando i percorsi.
Ufficio Studi Uritaxi
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Se l'aereo non rende abbastanza, ecco il taxi!
In seguito all'annuncio del Comune di Roma di riaggiornare le tariffe fisse dall'aeroporto di Fiumicino al centro romano, è scesa in campo l'associazione delle flotte aeree in Italia, la quale è venuta a denunciare che “non si fa gioco di squadra”.
Secondo quest'ultima, l'aumento del costo del taxi a Roma, scoraggerebbe i turisti a prendere l'aereo. Una posizione questa – almeno per gli esperti del settore – talmente improbabile che non può non far pensare che dietro vi sia ben altro. Infatti, è risaputo e confermato da ogni studio – Banca d'Italia compresa – che la domanda di servizio taxi è una domanda non elastica. Ciò vuol dire che una variazione realistica del costo del taxi è sostanzialmente non incidente sulla quantità di domanda di servizio. Se per esempio una corsa in taxi dall'aeroporto di Firenze al centro, da 20 euro andasse a costare anche un inverosimile 30% in meno, ciò non rappresenterebbe un incentivo per l'utente, poiché la differenza di prezzo con il mezzo alternativo (il bus) resterebbe ugualmente abissale (5 euro).
Ciò è confermato anche dalla recente esperienza del Comune di Torino, la quale puntava ad aumentare la domanda di servizio imponendo corse da 5 euro all'interno della ztl ambientale. Essa è di fatto fallita in quanto anche in presenza di un costo così basso, non vi è stata una sensibile crescita della clientela.
La presa di posizione delle flotte aeree è tanto più pretestuosa se si considera la crescita, fino a pochi anni fa impensabile, dei trasferimenti attraverso auto private da e per gli aeroporti, il cui prezzo è anche tre volte superiore rispetto al servizio pubblico del taxi. Contro di ciò, però, nonostante le ripetute denunce del settore taxi, mai una presa di posizione (!).
Tutto ciò va osservato alla luce di quel processo di despecializzazione tipico di questa fase finale dell'attuale modello economico. Così come le grandi catene commerciali alimentari necessitano di nuovi settori per superare la saturazione delle proprie capacità profittuali (ecco allora l'apertura al mercato dei quotidiani, delle medicine, della telefonia, dei combustibili, ecc.), altrettanto le grandi compagnie aeree necessitano di vedersi aprire il settore del trasporto taxi, dopo aver ottenuto quello dei bus shuttle. La necessità di accrescere gli utili, d'altronde, vede alcune compagnie aeree low cost studiare sistemi di volo in piedi (!), di modo da guadagnare nuovi posti di viaggio sui loro mezzi.
Pretesto per pretesto, ecco ripartire la campagna mediatica a livello nazionale contro l'unico settore che in Italia continua a resistere contro l'oligarchica deriva liberista delle liberalizzazioni-privatizzazioni. Il sistema della piccola impresa che domina nel settore taxi, la quale è riuscita a fare sistema grazie al modello delle cooperative, è l'unico esempio a livello nazionale di quell'azionariato dei lavoratori di cui poco tempo fa parlò anche il Ministro dell'economia Giulio Tremonti. Un modello questo, che se facesse scuola, rappresenterebbe un vero e proprio pericolo per il capitalismo dei mega accentramenti proprietari creatosi sotto il sistema della globalizzazione finanziaria.
Così, ecco spuntare analisi e raffronti di una incompetenza e stupidità tali, che una farsa shakespeariana non avrebbe saputo ricostruire meglio.
La campagna mediatica lanciata si è concentrata sull'insensato paragone tra il costo di una tratta aerea ed il costo di una corsa in taxi. Si capirà bene che un raffronto di questo genere, per quanto d'impatto, sarebbe come raffrontare un chilo di carne rossa (sui 13 euro) ed un chilo di insalata (intorno a 1,5 euro).
Volendo cercare di comprendere la ragione principale della non raffrontabile differenza di costo tra una corsa in taxi ed un volo aereo – ma dovrebbe essere più che evidente! – , è il più alto tasso tecnologico presente nel mezzo di trasporto aereo a renderlo complessivamente più economico rispetto all'oramai vetusto mezzo di locomozione, chiamato auto.
Nello specifico dei paragoni fatti tra città e città in merito al transfer dall'aeroporto verso il centro cittadino, vanno rilevati alcuni aspetti determinanti. Si pensi al raffronto tra il transfer dell'aeroporto di Firenze con quello di Milano. Il numero di passeggeri che sbarcano a Firenze (1,7 milioni contro 17 milioni di Malpensa), per esempio, fa sì che l'attesa del taxi all'aeroporto sia come minimo di un'ora, con punte anche di due ore a seconda della fascia oraria, per un rientro al centro città che può durare ulteriori 45 minuti, per una corsa da 20 euro (dunque questa cifra remunera circa un'ora e 30 minuti di lavoro, nella migliore delle ipotesi).
Altrettanto il prezzo della corsa non risponde mai al solo chilometraggio della corsa, ma al costo complessivo del servizio che deve essere economicamente sostenibile. Esso dunque comprende il fattore tempo, il costo del mezzo e tutti gli annessi, il costo del lavoro, il costo dell'infrastruttura radio e del relativo personale, il rischio d'impresa, il costo fiscale. Il prezzo finale pagato dall'utente per la tratta chilometrica effettuata sarà commisurato su tutte queste voci.
Il costo di erogazione del bene o servizio sarà tanto più spalmabile – ma ciò senza un'infrastruttura stradale efficiente non è possibile – , quanto più riuscirà a diffondersi l'output aziendale. A titolo di esempio si pensi ai primi cellulari (o ai primi navigatori) dei primi anni '90, che costavano milioni di lire, fino a che il loro diffondersi li ha resi un bene di consumo di massa.
Che i tariffari taxi dei transfer dagli aeroporti italiani – così tanto reclamizzati in questi giorni – non siano campati in aria, ma commisurati ad un'effettiva sostenibilità economica dell'attività coinvolta, ce lo referenzia il recente studio di comparazione tra i vari paesi del mondo, dell'istituto creditizio Ubs (A comparison of purchasing power around the globe - 2009 edition – Prices and Earnings), che rileva come i taxi italiani siano tra i meno cari d'Europa, seguiti da paesi notoriamente più economici come le ex repubbliche comuniste, la Spagna, il Portogallo e la Grecia.
Diversamente, sempre da rilevazione Ubs, i costi di gestione che l'impresa taxi italiana si trova a sostenere sono tra i più esosi d'Europa.
Così, milioni di persone sono state ancora una volta disinformate ...
Ufficio Studi Uritaxi
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Studio Ubs 2009 che dimostra, tra le altre cose, che i taxi italiani hanno tariffari tra i più bassi d'Europa.
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Cinque minuti in taxi per migliorare la viabilità cittadina
Con questo studio si dimostra che le liberalizzazioni del settore taxi hanno fallito in tutto il mondo. Esse sono soltanto uno strumento per trasferire questo appetito settore in mano ad un ristretto oligopolio privato che non dà alcun vantaggio al servizio, agli utenti ed ai lavoratori.
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Nuovi n.c.c. a Scandicci? Ogni dato dice trattarsi di una proposta ideologica
Il seguente memorandum è volto a dimostrare l’assoluta inutilità della proposta avanzataci dall’amministrazione scandiccese di emissione di nuove autorizzazioni di noleggio con conducente (da 12 a 20), al fine del miglioramento dell’efficienza del servizio di trasporto pubblico non di linea a Scandicci.
Le motivazioni che starebbero dietro la volontà dell’amministrazione consisterebbero in un’aumentata richiesta di servizio per pressioni dei cittadini nonché per l’aumentato numero delle aziende scandiccesi dal 2001 (l’anno di riferimento è il 2001 perché l’ultima emissione di autorizzazioni n.c.c. risale a quell’anno).
Con queste considerazioni dimostreremo l’improbabilità delle due motivazioni.
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Resisterà il Governo alla frode liberista di Draghi e Marcegaglia?
E' in atto una vera e propria guerra tra due visioni del mondo: una autenticamente repubblicana per produzione e lavoro, che vede in prima fila il ministro Giulio Tremonti; un'altra filo-oligarchica sostenuta dagli apologeti del liberismo. Questa guerra passa per le liberalizzazioni che questi ultimi vorrebbero nel settore taxi e trasporti in genere, nelle utilities, nelle professioni.
Se da una parte il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti continua la sua lotta solitaria per una riforma del sistema finanziario internazionale (gli ultimi interventi di giugno sono quello di Lecce durante il G8 e quello durante una conferenza dell'Aspen Institute), una Nuova Bretton Woods ispirata al supremo principio della sovraordinazione della legge e della politica all'arbitrio della finanza, così come richiesto dal suo ideatore, l'economista americano Lyndon LaRouche e come recentemente riaffermato da Benedetto XVI, dall'altra parte le reti liberiste continuano a giocare la loro partita sporca. Queste ultime da un lato chiedono interventi pubblici in aiuto delle banche e delle multinazionali, ma dall'altro pretendono che i settori ancora non liberalizzati siano aperti di modo da poterli fagocitare attraverso processi oligopolistici e di finanziarizzazione.
Forti della apparente stabilizzazione finanziaria avutasi grazie alla decisione presa durante il G20 da parte dei Governi, di rifinanziare i titoli tossici con i soldi dei contribuenti, queste reti, senza alcun pudore provano a mettere alle corde il Governo Berlusconi ed in particolare Giulio Tremonti. E non è un caso che da più parti si cominci a parlare di una sostituzione di Silvio Berlusconi con Mario Draghi o di Giulio Tremonti con Corrado Passera. Se i governanti non ubbidiscono ai banchieri, ecco che i banchieri si sostituiscono a loro!
Ed il processo di “privatizzazione del mondo”, come lo definì Jean Ziegler anni fa, passa per le liberalizzazioni, che se in una primissima fase paiono far tutt'uno con il merito, dopo poco sono funzionali alla creazione di nuovi oligopoli.
Durante l'Assemblea di Confindustria del 21 maggio, la presidente Marcegaglia ha affermato:
“C’è una parola che nel dibattito della politica economica in Italia è sparita: liberalizzazioni. È urgente riprendere il cammino interrotto delle liberalizzazioni nei trasporti, nelle comunicazioni, nell’energia, nelle professioni e soprattutto nelle società pubbliche a livello locale, dove stiamo assistendo all’avanzata impressionante del neostatalismo.”
Questo Governo, in effetti, ha avuto finora il grande merito dell'aver messo al bando la campagna demagogica per le liberalizzazioni (della cui bontà storica mai nessuno riesce ad offrire un precedente a cui rifarsi), la cui precipua funzione è quella di trasferire fette di mercato ad una ristretta oligarchia finanziaria, senza che da ciò derivi alcun vantaggio per il sistema produttivo, per i lavoratori, per i cittadini.
Di fatto, non si tratterebbe altro che della fase 2 della oramai nota Operazione Britannia che prese avvio nel 1992 e che sotto il ministero Bersani, durante la scorsa legislatura, era ripartita.
Col pretesto della crisi finanziaria e di un'economia da rilanciare, la principale associazione imprenditoriale italiana, tenta di rimettere al centro del dibattito politico il tema delle liberalizzazioni, di modo da poter conquistare nuovi asset nel mercato italiano. E Mario Draghi gli fa da cassa di risonanza. E' da ricordare allora un recente dato fornito dalla Fondazione Mattei che precisa che l'ammontare del ricavato di tutte le privatizzazioni mondiali dal 1970 ad oggi (1500 miliardi di dollari), nel solo ultimo anno di crac finanziario, è stato superato per oltre 4 volte dai salvataggi pubblici, tanto è strutturalmente debole il processo che esse mettono in moto. E allora ha ragione il ministro Tremonti quando dice che i banchieri non possono farsi le regole da soli!
“La testa di ponte te la creo con il taxi!”
Al primo punto delle liberalizzazioni da affrontare – riecheggiando così la celebre quanto infame guerra dei liberisti – Confindustria pone i trasporti, con inevitabile riferimento ai taxi. Di fatti questo è il settore dove la resistenza alle politiche liberiste potrebbe essere più tenue, in quanto trattasi di un settore caratterizzato dalla presenza di piccoli imprenditori invece che di potenti apparati. Nonostante il fallimento di tutte le riforme liberiste in questo settore – tra le ultime, quella irlandese e quella giapponese sono le più eclatanti – si continua a richiedere insistentemente, strumentalizzando con demagogia e falsità l'istanza del risparmio per gli utenti, l'intervento della dea meretrice delle liberalizzazioni, anche se il settore dei taxi, oggi più di prima, – a distanza di neanche un anno dal “gigantesco” problema che col Governo Prodi sembrava rappresentare per gli Italiani! – sia caratterizzato da una iperpresenza di auto bianche presso stazioni, aeroporti e posteggi, con un calo medio del lavoro tra il 30% ed il 40% e un generalizzato aumento di spesa per l’utente finale vittima delle degenerazioni provocate dall'eccesso di concorrenza sopravvenuto.
La battaglia contro i tassisti italiani, come asserito su più testate giornalistiche, se vinta, rappresenterebbe l'elemento catalizzatore per il più ampio processo di ulteriore impossessamento da parte dei soliti noti, che segnerebbe l'ultima tappa della grande guerra avviata dall'oligarchia finanziaria nel 1992 contro l'economia italiana, accelerandone il processo di disintegrazione.Sono due i fronti su cui le oligarchie lavorano per mettere al tappeto i piccoli imprenditori del settore taxi. Da un lato, grazie alla collaborazione delle amministrazioni locali amiche, si fa sì che la legge quadro 21/92 non venga applicata nei confronti dei noleggi con conducente (n.c.c.) irregolari, laddove essa, ispirata al principio di territorialità, prevede che gli n.c.c. debbano sostare nella propria autorimessa con sede nel comune autorizzante (art. 3) invece che in piazze o strade prossime agli alberghi dei centri più importanti, e che l'inizio del servizio debba cominciare con partenza dal territorio che ha rilasciato l'autorizzazione (art. 11); dall'altro lato si sta agendo sul fronte fiscale.
A Firenze per esempio – che è una delle città d'avanguardia del tassismo italiano – si sta attuando una vera e propria opera di persecuzione fiscale, con accertamenti a tappeto. Nonostante le dichiarazioni fiscali dei tassisti risultino quasi sempre congrue e coerenti, l'agenzia delle entrate sanziona sistematicamente questi contribuenti, superando ogni logica possibilità di redditività aziendale. Dall'attività accertante, per esempio risulterebbero ritorni di oltre 2 euro per ogni km effettuato per l'anno fiscale 2005, facendo così risultare il chilometraggio complessivo sempre a vettura carica (con sopra il cliente cioè) e senza alcuna destinazione ad uso privato del mezzo. Il chilometraggio medio per corsa, secondo l'agenzia sarebbe di 3,2 km, comportando così un quantitativo corse nell'arco della giornata quanto meno improbabile, senza considerare appunto il ritorno a vuoto al posteggio, ed ipotizzandosi come sistematico, invece, quello che in gergo si chiama il “rimpallo” (l'acquisizione di una nuova corsa dal punto presso cui si è lasciato l'utente dell'ultima corsa effettuata). Gli accertamenti poi prevedono che circa i 2/3 delle corse effettuate sarebbero acquisite tramite radio (il che comporta il sovrapprezzo della chiamata) e con il supplemento bagaglio.
Vista la velocità con cui sta procedendo agli accertamenti l'agenzia, e vista l'entità degli imponibili determinati, questo genere di vera e propria persecuzione fiscale risulta essere funzionale alla distruzione di un intero settore. A tali ritmi, nel giro di un quinquennio saranno i tassisti stessi a richiedere l'entrata di grossi players nel settore (oggi vietata dalla legge), a cui poter “regalare” le proprie licenze. Così anche in questo settore, come già per esempio avvenuto nel commercio, alla attuale iperatomizzazione dove fanno da protagonisti il piccolo imprenditore artigiano e la mutualità cooperativistica, si verrebbe a sostituire un oligopolio tutto centrato su società di capitali che sfruttano il lavoro a basso costo, fanno cartello sui prezzi, producono un servizio inefficiente.
Ma l'assedio che viene avanzato contro questa categoria di lavoratori, non ha rilevanza fine a sé stessa, ma viene a rappresentare il grilletto grazie a cui avviare con effetto domino, la liberalizzazione di tutti i servizi pubblici locali, di modo da consentire a banche e grossi imprenditori di potersi impossessare di interi settori, come fatto durante gli anni '90 con le redditizie banche ed assicurazioni pubbliche, con l'industria siderurgica, energetica, telefonica, con le autostrade, senza che si sia assistito negli anni ad alcun miglioramento di quei settori industriali, quanto piuttosto alla loro finanziarizzazione a tutto discapito della qualità del prodotto o servizio erogato, delle condizioni di lavoro dei collaboratori, e del costo di fruizione finale per gli utenti.
E' in atto allora una vera e propria guerra tra chi vuol riportare il mondo verso l'idea delle Repubbliche sovrane centrate su produzione e lavoro al fine del miglioramento delle condizioni di vita di tutti i cittadini, e chi invece porta avanti il proprio grande gioco del “Monopoli” oligarchico dove la speculazione finanziaria possa crescere sfruttando gli asset dell'economia reale che un branco di “sudditi” deve tenere in piedi in un'ottica di progressiva austerità.
Claudio Giudici
Uritaxi - Firenze
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Taxi: un’altra vittima del ‘libero’ mercato
Nonostante i mass media abbiano condotto un’incessante campagna per convincerci che il servizio taxi in Italia sia caro ed inefficiente, uno sguardo attento allo studio di BankItalia sui taxi nel mondo, mostra in modo chiaro come i taxi italiani siano tra i meno cari d’Europa. Allora perché tutta questa insistenza sulla liberalizzazione di un servizio che riguarda solo una ridottissima percentuale della popolazione, e che è utilizzato prevalentemente per motivi di lavoro e da benestanti turisti?
La realtà è che il piano di liberalizzazioni punta a fare entrare i grandi capitali nel settore, così come in tutti i settori del servizio pubblico. Si tratta di torte ghiottissime per chi già ha potuto disossare altre aziende pubbliche (Telecom Italia e Autostrade dicono niente?). Grandi guadagni per gli oligarchi, nessun vantaggio per gli utenti.
Lo stesso modello di deregulation, giustificato con l’idea che il ‘libero mercato’ è sempre il sistema più efficiente, è stato sperimentato negli Stati Uniti per i settori delle ferrovie, il trasporto aereo e i prezzi dell’energia elettrica. Il risultato? Numerose società in bancarotta, un sistema ferroviario praticamente scomparso, e prezzi energetici alle stelle.
Lo stesso succederà in Italia se si seguirà un modello che punta a fare risparmiare qualche euro ai consumatori, ma a scapito di garantire un servizio pubblico regolamentato e basato su una società di produttori con un tenore di vita dignitoso.
Dalla tabella risulta che a Bruxelles i taxi costano il 39% ed il 65% in più rispetto a Milano e Roma, e a Londra il 13% ed il 34% in più.
Per la Banca d’Italia, i taxi italiani sono tra i meno cari d’Europa.
Prezzo di una corsa in taxi di 5 km nell’area urbana in alcune città europee ed extra-europee nel 2003[1].
Bruxelles 12,16 euro
Amsterdam 11,75 euro
Copenhagen 11,46 euro
Berlino 9,95 euro
Londra 9,87 euro
Stoccolma 9,78 euro
Praga 9,39 euro
Milano 8,75 euro
Barcellona 8,43 euro
Roma 7,36 euro
New York 7,24 euro
Parigi 7,24 euro
Auckland 6,6 euro
Dublino 4,3 euro
Olanda, Svezia ed Irlanda hanno visto liberalizzato il servizio taxi tra il 1989 ed il 2002. In Olanda vi è stata la liberalizzazione dei prezzi ma nonostante ciò i taxi costano ad Amsterdam il 59,6% in più rispetto a Roma.
In Italia si punta ad aumentare il numero delle licenze – come in Irlanda – ma non a diminuire i prezzi. Quindi il risultato sarà un aumento massiccio delle macchine in circolazione a tutto vantaggio delle grandi società che il Governo intende fare entrare nel settore. Fino ad oggi la legge vietava sia il cumulo delle licenze sia il controllo delle stesse da parte di società. Abrogare questo divieto significherebbe diminuire le regole e la sicurezza costringendo i tassisti ad aumentare gli orari di lavoro (come accade già con gli n.c.c.).
Vogliamo ripetere l’esperienza del primo decreto Bersani sulla liberalizzazione del commercio (d. lgs. 114/98)? Si diceva che servisse per agevolare l’apertura di attività a tutti, ed una più ampia distribuzione dei
prodotti sul territorio. Il risultato è stato la moria delle piccole attività (i fondi vengono trasformati in mono e bilocali) a tutto vantaggio della grande distribuzione. Chi lavorava ha perso il lavoro ed i prezzi non sono certo diminuiti!
La nostra proposta è che si abbandoni l'ideologica politica delle liberalizzazioni e si apra un bilancio in conto capitale con cui finanziare l'allargamento delle reti di trasporto pubblico metropolitano, assieme a tutte le altre opere infrastrutturali di cui il Paese ha urgente bisogno. Si tratta di attuare una svolta rooseveltiana – come indicata dal leader democratico americano Lyndon LaRouche – in cui i nostri rappresentanti politici e di governo abbiano il coraggio di mettere in discussione i diktat della grande finanza internazionale che si esprimono nella politica dei tagli al bilancio imposta dal Patto di Stabilità. Gli investimenti nelle infrastrutture – garanzia per la crescita futura – vanno considerati indispensabili perché diretti a incrementare il bene comune. O si attua questo cambiamento o l'Italia e l'Europa tutta sprofonderanno nell'ingovernabilità!
Città - Superficie (km2) - Lungh. metro (km)
Monaco - 310 - 90
Milano - 182 - 75
Roma - 1285 - 38
Barcellona - 100 - 102
Se si vuole veramente migliorare la vivibilità delle nostre città, si deve potenziare il sistema metropolitano – questo sì veramente deficitario a cospetto delle altre città europee!
[1] Occasional Paper di Febbraio 2007, n. 5.
http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/quest_ecofin/QEF_5.pdf
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Tassisti-noleggiatori: grazie agli irregolari, chi rischia di vincere è la grande finanza
“E' ben noto, dalla letteratura sull'oligopolio che la spregiudicatezza è uno dei tratti caratteristici delle strategie e tattiche che vi si adottano. In modo analogo, l'accentuazione in senso pessimistico di una situazione che ovviamente non sia brillante ma nemmeno catastrofica, può essere una strategia efficace per modificare l'esistente ordine delle cose, allorché si faccia avanti 'un nuovo pretendente che reclama una fetta di potere'.”
Federico Caffè, settembre 1972Il Venerdì di Repubblica del 27 marzo scorso, titola un servizio riguardante taxi ed n.c.c. “Autoscontro: nella guerra tassisti-noleggiatori, chi rischia di perdere è il cliente”. Con clamorosi errori tecnici, il servizio ricostruisce subdolamente la situazione calda creatasi nel settore del trasporto pubblico locale non di linea, come uno scontro tra tassisti e noleggiatori, piuttosto che come invece esso realmente si presenta, tra tassisti e noleggiatori regolari da una parte ed irregolari dall'altra.
Negli ultimi anni si è assistito sul territorio nazionale ad un fenomeno di progressiva “liberalizzazione di fatto” del settore del trasporto pubblico locale non di linea (taxi ed n.c.c.). Il sensato principio per cui le amministrazioni dovrebbero emettere licenze taxi ed autorizzazioni n.c.c. in funzione delle reali esigenze locali date dai flussi turistici, dagli snodi viari, dalle presenze di strutture aeroportuali, ferroviarie, ospedaliere, alberghiere, congressiste, sportive ed ovviamente dalla richiesta cittadina, è stato di fatto superato e sostituito dall'indiscriminatezza autorizzativa che ha dato avvio ad una dinamica iperconcorrenziale maturata in violazioni di legge e sfruttamento del lavoro a basso costo.
I piccoli comuni – il caso più eclatante è quello di Francavilla al Mare – inondano il mercato di vetture dedite al trasporto pubblico non di linea (quasi esclusivamente n.c.c.) senza alcuna reale necessità. Di fatto essendo impossibile la sostenibilità economica dell'attività in assenza di una corrispondente domanda di servizio, i beneficiari delle nuove autorizzazioni n.c.c. si trasferiscono nelle piazze turistiche più importarti (Roma, Milano, Firenze, Napoli, Bologna, ecc.) violando la normativa che stabilisce 1) che il servizio n.c.c. lo si acquisisce presso la propria autorimessa (pur potendo prelevare fisicamente il cliente in altro comune), e 2) che il mezzo deve sostare presso di essa e non su piazza. Ecco così creati gli n.c.c. irregolari.
Così, ora che la crisi finanziaria ha colpito pure questo settore, taxi e n.c.c. regolari, per veder tutelata la legalità, vanno costituendo un fronte comune contro gli irregolari.
Per rendere più difficile l'attività di controllo da parte degli organi preposti, le amministrazioni hanno tolto i riferimenti normativi della legge quadro 21/92 (in particolare l'art. 3 che prevede la sosta dell'n.c.c. presso l'autorimessa). Ingenui o corrotti che siano, gli amministratori locali che si fanno promotori di iniziative di tal genere, divengono complici della creazione di questo mercato irregolare fatto di violazioni di legge, di truffe all'utenza, di cattiva pubblicità all'economia nazionale. Questi amministratori di piccoli comuni giustificano il loro irresponsabile comportamento asserendo di aver così creato nuovi posti di lavoro – una riedizione dell'incompetente prassi che negli anni '70 ed '80, in presenza di disoccupati, portò alla creazione di posti di lavoro non necessari presso la pubblica amministrazione – , e di aver così colmato eventuali carenze di offerta di servizio nelle città più importanti – finendo così col legittimare eventuali resistenze dei tassisti e dei noleggiatori locali a veder concesse nuove licenze od autorizzazioni. A ciò si aggiungono poi forme di clientelismo, mascherate da bandi di concorso a cui viene data pubblicità pressochè inesistente. A questo proposito, un ultimissimo caso è quello del comune di Scandicci, che dopo aver proposto alle parti sociali un aumento delle autorizzazioni n.c.c. da 12 a 20, con dunque un aumento di 8 unità (circa del 70% in più), trovatosi di fronte agli sconfortanti dati economici della sua realtà locale messi sul tavolo dai sindacati, ha rivisto quella iniziale volontà, portando l'aumento a sole 2 unità (rivedendo dunque dell'80% la originaria intenzione!).
Così il caos che sta verificandosi nel settore del trasporto pubblico locale non di linea (taxi ed n.c.c.) è il frutto di un preciso atto d'irresponsabilità politica e morale su cui ha trovato perno l'ideologia liberista, ossia quella barbara idea per cui una realtà abbandonata ad una teorica libertà (e ad una concreta legge della giungla, del più scorretto, del più agganciato, del più finanziariamente forte) sarebbe meglio regolata rispetto a quella su cui si agisse attraverso precisi atti di volontà volti ad armonizzarla nei modi più giusti.
Ma se tutto ciò ci racconta il livello più superficiale di tutta la faccenda, una strategia di più ampio respiro pare interessare attori ben più importanti. Infatti, questa caotica situazione, fatta di lotte per la legalità tra tassisti ed n.c.c. regolari da una parte, ed irregolari dall'altra, alla cui gara lo sparo di via è stato dato, come già detto, da irresponsabili amministratori locali, finisce col creare il terreno fertile affinchè grossi players economico-finanziari possano entrare in un settore a prevalente presenza, ancor oggi, di piccola imprenditoria. Non è infatti un caso che la versione originaria del progetto di liberalizzazione Bersani del settore, prevedesse l'eliminazione del divieto del cumulo di licenze e del divieto di intestazione delle licenze a persone giuridiche; provvedimenti ovviamente funzionali all'entrata nel settore di grossi operatori finanziari. Ed altrettanto non è un caso che il disegno di legge Aracri consentisse di far venir meno il principio della territorialità degli n.c.c. riconoscendogli la possibilità di costituire sedi secondarie su tutto il territorio nazionale (a tutto vantaggio dei grossi gruppi). Come dire che un giorno sì e l'altro pure, i grossi gruppi, attraverso i loro alfieri in Parlamento, provano ad entrare anche in questo mercato. Ecco che non trovando ancora il terreno fertile per lo stravolgimento del settore, una diretta od indiretta man forte, gli arriva dall'orgia di provvedimenti autorizzativi di n.c.c. da parte dei piccoli comuni, le cui decisioni restano spesso nell'ombra. L'esasperazione della concorrenza, porta infatti alla costante riduzione della sostenibilità economica dell'attività dei piccoli imprenditori protagonisti del settore, finendo così per ridurre la loro resistenza ai tentativi di subentro da parte dei grossi oligopolisti, che farebbero razzia di licenze taxi e di autorizzazioni n.c.c.
Le dinamiche tipiche del bluff delle liberalizzazioni – visto che una liberalizzazione di fatto si sta avendo – sono già in corso: nella prima fase i prezzi di fruizione tendono a scendere, perchè i nuovi arrivati per sbarcare il lunario sono disposti a stare sul mercato a condizioni economiche che poi dopo poco tempo risultano essere insostenibili; nella seconda fase gli operatori provano a resistere alla tentazione di adeguarsi ai nuovi insostenibili prezzi, ma col prolungarsi di questa fase, anch'essi tendono a seguire il nuovo corso; nella terza fase, quando l'insostenibilità economica diviene evidente, cominciano a sparire gli operatori più deboli ed ecco allora che i grossi gruppi possono acquistare a prezzi di saldo, fare oligopolio, e dunque imporre nuovi prezzi e tariffe, solitamente più elevati rispetto a quelli presenti nel precedente corso.
Firenze, 29 marzo 2008.
Claudio Giudici
Uritaxi Toscana
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Gli autotrasportatori ed i tassisti cacciano Alice dal paese delle meraviglie
In risposta a “Le leggi dell’economia non usano il taxi” ed al falso dibattito sullo sciopero degli autotrasportatori e le cosidette liberalizzazioni.
L’articolo di Mario Seminerio apparso su Epistemes.org e Libero Mercato, Le leggi dell’economia non usano il taxi, che prende spunto da una lettera che gli perviene da un lettore, referenzia come il pensiero del liberismo economico concepisca l’economia come un sistema cartesiano chiuso, ossia una superficie piana da tirare un po’ in tutte le direzioni. Si tratta di un sottomodello mal funzionante, perché non tiene conto del limite fisico intrinseco oltre il quale si verifica quel fenomeno che in fisica si chiama singolarità (punto di rottura, cambiamento di fase). Ci sono alcuni esempi a cui possiamo indirizzare il nostro pensiero per comprendere questo fenomeno. La questione è di centrale rilievo epistemologico. Nel campo della fisica, si pensi a cosa avviene quando un jet raggiunge la velocità del suono: mantenere tale velocità troppo a lungo gli procurerebbe gravi danni a causa delle forti sollecitazioni che si vengono a creare; il rapido passaggio a velocità superiori permette invece di evitare questi danni ed immette il jet in un nuovo dominio di relazioni aerodinamiche. Da un sistema si è passati ad un altro. Il Menone di Platone ci lascia un insegnamento esemplare dal punto di vista dei principi che ispirano la conoscenza (epistemologia) con la costruzione geometrica che propone per la duplicazione della superficie del quadrato; per ottenere la superficie doppia del quadrato x (dunque 2x) Platone dimostra che si deve effettuare un cambio di fase, ossia, nel caso in specie, non incastrarsi con tentativi di semplice estensione (estendere in altezza o lunghezza la superficie del quadrato, come farebbero i liberisti), quanto piuttosto – ed ecco il cambio di fase – procedere entrando in una nuova dimensione con la rotazione della diagonale. Il principio che ne deriva è che si apportano cambiamenti determinanti operando sul livello superiore al livello analizzato. Quegli esempi ci rendono l’idea di come funzionino i processi fisici. Ora, c’è da chiedersi se l’economia sia un qualcosa che fuoriesce dalla scienza fisica, oppure se ne sia parte integrante. Sul fatto che pure l’economia sia sottoposta a delle leggi, lo sostengono pure i liberisti. Ma a quali leggi essi si riferiscono? Trattasi di leggi di natura (fisiche) oppure di leggi arbitrarie (e dunque non leggi, ma opinioni che hanno la stessa validità dell’opinione esattamente contraria)? I liberisti ci parlano di legge della domanda e dell’offerta. Funziona questa legge? Vi sono intere popolazioni che domandano medicinali per la cura dell’aids, ma l’offerta in tal senso non arriva. Vi sono popolazioni che chiedono infrastrutture di base come sistemi idrici, elettrici, di trasporto, sanitari, educativi, ma di offerta in tal senso non ne arriva. Ma allora, quando funziona tale legge della domanda e dell’offerta se non è capace di soddisfare neanche i bisogni primari delle persone? Quando è efficace in termini di profitto. E’ ovvio che questa legge ha alla sua base un problema di natura epistemologico – del principio che la ispira cioè. Il paradigma fondante di questa legge è frutto di una tale depravazione morale, da non poter essere seriamente presa in considerazione. I liberisti quando trattano dell’economia non fanno della scienza ma della semplice statistica. La statistica può funzionare fino ad un certo punto, può fungere da termometro, ma non può rappresentare l’unico metro di valutazione di un fenomeno. Sarebbe come se rimettessimo il giudizio sullo stato di salute di un paziente, alla semplice misurazione della temperatura corporea e valutassimo come obbligatoriamente in salute colui che pur avendo pressione alta, globuli sbalzati, sangue nelle feci, avesse però una temperatura sotto i 37°. D’altra parte una dimostrazione di come poco affidabile sia la statistica che si cela dietro ogni algoritmo che ispira quella che è l’applicazione estrema delle derivazioni del pensiero liberista – il trading finanziario – ce la dettero nel ’98 i due premi Nobel, Robert Merton e Myron Scholes, che a quel tempo guidavano, portandolo al fallimento, il fondo speculativo Long Term Capital Management. Questi modelli, infatti, seguono logiche di tipo lineare. La realtà fisica – e tutto ciò che fa parte della natura fa parte della realtà fisica – non procede però secondo logiche lineari. Ad un certo punto l’acqua comincia a bollire: ecco la rottura della linearità, il cambiamento di fase. Quello che deve fare l’uomo in economia è produrre il cambiamento di fase affinché si passi da una realtà ad una di tipo superiore. Ora, torniamo alla riflessione di Seminerio. La riflessione di Seminerio – probabilmente perché vittima di una certa superbia che domina nella cosiddetta classe intellettuale (versione moderna delle antica casta sacerdotale, il cui vizio formalista è tutt’oggi presente) – si dimostra meno consapevole del lettore (tassista? come si chiede Seminerio) che gli scrive. Il lettore è consapevole di un fatto che invece sfugge a Seminerio. Questo fatto è che in tutte le cose vi è un limite fisico intrinseco, oltre il quale non si può andare, e dove un cambiamento determinante non è possibile restando su quel livello di analisi. L’autore della lettera sa che in un’ora il tassista non può fare più di 3-4 corse. Non ha alcun appeal per lui il fatto che possa aumentare l’utenza che fruisca del servizio taxi in presenza di una riduzione della tariffa della corsa – come ipotizza ed auspica Seminerio – perché in ogni caso lui non potrebbe fare più di quelle 3-4 corse. A quel punto, però, le 3-4 corse che prima gli remuneravano ipotetiche 20 euro, ora andrebbero a remunerargli di meno. A ciò si aggiunga il fatto che invece i costi d’esercizio sono costantemente in crescita (costo auto, assicurazione, bollo, benzina, tasse, aumento del costo generale della vita). L’autore della lettera conosce la realtà e su essa ragiona, Seminerio, invece, fa dell’accademia. Per gli stessi motivi non si riesce a ridare stabilità finanziaria al nostro Paese ed all’economia occidentale. Le autorità economiche-finanziarie e politiche continuano a concentrare la loro attenzione sul livello finanziario con i tagli e la “razionalizzazione” della spesa, piuttosto che su quello superiore dell’economia fisica con un’azione d’impatto per l’arricchimento del tessuto infrastrutturale e della produttività. Questi parlano di “paese bloccato”. Questa è la nuova parola d’ordine, e la soluzione starebbe nelle liberalizzazioni. Ma questo non può funzionare perché la realtà fisica non funziona così. Si illudono che l’approntare azioni sullo stesso livello su cui vogliono vedere i risultati – quello finanziario – possa funzionare. Povera Alice! In merito agli autotrasportatori Seminerio afferma: [Con tariffe libere gli autotrasportatori-padroncini] la finirebbero di tenere sotto ricatto un intero paese al solo scopo di mantenere invariato il proprio reddito nel tentativo di recuperare le maggiori voci di costo, ed il paese ne guadagnerebbe in salute: quella dei camionisti stressati dal dover rispettare i tempi di consegna, e quelli degli automobilisti che viaggiano fianco a fianco degli autotreni. A Seminerio, com’è tipico dei formalisti, sfugge la visione dell’intero processo, e guarda caso questa disattenzione è utile alle oligarchie e lesiva della dignità dei lavoratori. Oggi, mantenere il livello di reddito recuperando almeno “le maggiori voci di costo” – strano? – vuol dire continuare ad avere diritto alla sussistenza e non alla bella vita. Stando alla sostanza della realtà odierna, affermazioni come quella sopra, rappresentano un attentato al principio costituzionale della dignità del lavoro e più in generale del “diritto ad una esistenza libera e dignitosa” come recita l’art. 36 della Costituzione. I “padroncini” se oggi sono in grado di mettere in ginocchio un Paese, è perché i Governi non hanno fatto politica strategica, ma hanno piuttosto lasciato il mercato libero di decidere come meglio svilupparsi. Questo sviluppo libero, alla stessa stregua di un terreno incolto, ha finito col produrre molte erbacce. Il mercato non ha trovato convenienza a diversificare la rete di trasporto ed anzi gli interventi statali sono stati solo ossequiosi a chi chiedeva lo sviluppo del trasporto esclusivamente su gomma. Così, oggi, quegli autotrasportatori hanno una funzione sociale così importante da non poter non essere riconosciuta dall’ingordigia dei grandi speculatori che vogliono tenere bassi i costi del lavoro. Eppure l’accademia a cui si ispira Seminerio, trova già in uno dei suoi padri fondatori – David Ricardo – l’emblema della fallacia della teoria liberista. Ricardo, infatti, sostiene che la legge del libero mercato funzioni soltanto in presenza di due circostanze: la piena convertibilità aurea della moneta circolante e la chiusura del sistema analizzato. Pura accademia appunto, e non tanto per la prima condizione – la quale potrebbe anche essere realizzata ma con risvolti inevitabilmente malthusiani – quanto per la seconda, la quale è impossibile da realizzare almeno che non si immagini per il pianeta l’esistenza di un unico mercato, di un’unica autorità monetaria, di un unico governo mondiale. Dunque, quando i liberisti fanno i liberisti duri e puri, sanno di cosa parlano? Il paradosso è che il loro non sapere, risulta assai utile alle oligarchie finanziarie che dei processi liberisti si avvantaggiano. La soluzione ai problemi di qualunque sistema, non è il liberismo, che anzi ha storicamente dimostrato di non essere performante ai fini del bene comune – questo è il fine della Repubblica – , ma utile solo alla formazione di oligopoli. E a ciò porta il restare sul livello, per riprendere l’esempio di Platone, della estensione lineare. Una soluzione autentica, invece, passa per lo sviluppo tecnologico-infrastrutturale del livello di base di quel sistema (ed eccoci dunque spostati sul livello superiore, della rotazione della diagonale nell’esempio di Platone). In pratica, se non si aumenta la qualità tecnologica delle infrastrutture, di modo da consentire una più efficiente viabilità (metropolitane, ricorso ad una seria limitazione del traffico nei centri cittadini, aumento dei bus navetta, strade costantemente e velocemente manutenute, aumento delle corsie preferenziali proprio come suggerito dal lettore che scrive a Seminerio) nessun aumento delle licenze sarà utile al cittadino, sia utente e sia lavoratore – esatto Seminerio, anche lavoratore, visto che di esso si deve tenere conto nel momento in cui la nostra Costituzione (artt. 1, 3 e 4) su di lui si regge! Sarà il caso di tenerne conto in un’epoca in cui si è progressivamente accelerata la distruzione della capacità d’acquisto reale dei lavoratori? Sia ben chiaro, che qui non si è contro il mercato e la libertà organizzativa dell’imprenditoria, quanto piuttosto contro l’idea che il “libero” mercato sia da sé capace di disporre le risorse nel miglior modo possibile. Il “libero” mercato, per esempio, non trova convenienza a sviluppare una linea ferroviaria, una infrastruttura elettrica, idrica o del gas per Borgo Piccino. Ma senza andare troppo in là con la fantasia, il libero mercato trova conveniente l’assunzione di ausiliari del traffico, i quali sono finanziariamente redditizi, ma non trova conveniente l’assunzione di nuove forze di polizia, oppure più semplicemente evitare che questi debbano saltare le ronde notturne per mancanza di carburante, oppure evitare che questi utilizzino la cancelleria della banca vicina per assenza di fondi da destinare a tale materiale. In questo secondo caso, infatti, la “redditività” è misurabile solo in termini di ritorno sociale – che è un arricchimento dell’economia fisica. Il paradosso che si viene ad avere è che si possono perseguire indisciplinati autisti, ma non la criminalità organizzata (qui l’attività non si autofinanzia, ma finanziariamente, nell’immediato, è solo un costo). Si capirà bene che alla base di questi paradossi vi è Maastricht ed il suo patto di stabilità. Dunque, qui si sostiene piuttosto l’idea fatta propria dal nostro Costituente, per cui l’iniziativa economica debba avere una funzione sociale e che a tale fine la Repubblica deve intervenire. E rifacendosi ancora al caso di cronaca del lavoro più recente e clamoroso, quello del fermo degli autotrasportatori, il libero mercato con il suo alfiere delladeregulation ha fatto sì che si dequalificasse il lavoro dell’autotrasporto ricorrendo a manodopera a basso costo, e che poi ci si scandalizzasse se gli autotrasportatori italiani, attanagliati da una parte dall’aumento dei costi di esercizio, e dall’altra dalla concorrenza a bassa tutela sociale dei lavoratori stranieri, procedessero con un fermo volto a richiamare l’attenzione sul fatto che il principio della dignità del lavoro (art. 36 Cost.) fosse di fatto leso, non essendo più l’attività svolta esercitatile a condizioni qualitative e quantitative dignitose, e non consentendo più una dignitosa remunerazione per sé e la propria famiglia, come, appunto, costituzionalmente richiesto. Ma visto che vogliamo utilizzare queste cosiddette leggi dell’economia per taxi ed autotrasporto, che leggi abbiamo dimostrato non essere, mi chiedo se queste leggi valgano anche per il sistema bancario. Da fine luglio, ossia dallo scoppio della crisi dei mutui subprime le banche centrali del mondo occidentale si sono prodigate in continue immissioni di liquidità, non per la conclusione di infrastrutture o per salvare fabbriche e posti di lavoro, ma per salvare la piramide speculativa di carta creata negli ultimi decenni dalla comunità finanziaria. L’obiettivo della Repubblica deve essere quello di perseguire il Bene Comune. Per fare questo in modo efficace e costante esiste un solo autentico metodo, che è quello originale del Sistema americano di economia politica, così come fondato fin dal 1789 da Alexander Hamilton e ribadito nella sua efficacia da Franklin D. Roosevelt e John F. Kennedy, in opposizione al modello liberista dell’Impero britannico. Esso passa per continue rivoluzioni scientifiche nel campo delle infrastrutture e dell’industria, da lanciare facendo ricorso in modo dirigistico al credito pubblico, così come previsto dalla Costituzione americana (art. 1 sezione 8). Questo, dunque, non è un modello di stampo stalinista, ma piuttosto l’autentico modello a cui gli Stati Uniti hanno fatto ricorso per almeno quattro volte in modo rivoluzionario (presidenze Washington, Lincoln, F. Roosevelt, Kennedy). Questo sistema ovviamente mette in profondo stato d’accusa il modello liberista a cui si ispira il Trattato di Maastricht e può oggi essere riproposto solo in seguito alla necessaria ricostituzione di un equo sistema monetario internazionale a cambi fissi, ed il congelamento dei debiti pubblici degli Stati che non possono essere ripagati chiedendo disastrosi sacrifici alle popolazioni, ma rilanciando in modo dirigistico le politiche industriali. Perché non chiedere ai creditori – esclusivamente banche private – di pazientare il tempo necessario per rilanciare l’economia produttiva di un’economia globale in piena crisi da ubriacatura speculativa liberista? Alice esca dal paese delle meraviglie.
Claudio Giudici
------------------------------------------------Taxi: i giochini di Bankitalia, dell'Ansa e Rutelli per creare un monopolio privato